Domenica 5 marzo 2023 – II di Quaresima A – Matteo 17,1-9

Pubblicato da emme il

Ad un certo punto scendono dal monte. Scelgo questa frase fra tutte, ma ci torno dopo. Ci sono occasioni, forse sporadiche, in cui anche la nostra vita si consegna agli altri nella forma più squisita, circostanze in cui la nostra umanità tocca vertici rari per i pensieri pensati, per le parole dette, per i gesti fatti. Cosa fa di Gesù qualcosa che brilla come il sole e splende come la luce? Non si sa, io non lo so. So quello che può capitare a me, cioè, come ho appena detto, che l’uomo che sono non resti, almeno per un attimo, blindato dentro una corazza di insensibilità, per un istante non fluttui intontito nella superficialità, per un momento non indugi imbrigliato nella paura. Mi capita di pensare ad alcune persone, anche molto care, che vorrei riuscissero a liberare un’umanità che invece, mi pare, resti tristemente inespressa. Mi dico: Cosa saresti se… perché quello che sei, se lo sei, deve potersi svegliare, deve essere messo nelle condizioni di offrirsi, devi regalarlo. Mi pare che ognuno di noi soffra se non riesce a liberare l’umano bello che trattiene, ma quante volte, troppe, resta serrato dentro di noi. Sul monte Gesù consegna il suo dentro in maniera libera, piena, senza filtri. Spesso salire è sinonimo del scendersi dentro, nel profondo. sovente più sali e più scopri l’intimo di te, più riveli a te stesso il tuo mistero, più incontri il profondo. Lec lecà, è la parola ebraica che traduciamo con ‘esci’, ‘vattene’. È la parola che Dio ha per Abramo. Ma cosa significa davvero? Non semplicemente, va, ma va verso di te, cioè alla ricerca di quel te che non riesci ancora ad incontrare e allora vattene da te per andare verso un altro te. Gesù è l’uomo che mostra quel tesoro e non ne ha paura. Forse noi lo mostriamo troppo raramente perché lo temiamo, temiamo che farci conoscere ci infragilisca, ci esponga al giudizio, alla derisione. Ma il mondo non ha bisogno del meglio di noi come noi del meglio del mondo? Quel meglio ha certo un prezzo. Nel passo tratto dalla seconda lettera di Paolo a Timoteo si legge: ‘soffri con me per il vangelo’. Soffrire per il bello, se vangelo significa buona/bella notizia. Perché? Non se ne può soltanto gioire? Perché soffrirne? È l’assurdo che segna la storia e le storie. Concedersi di essere umani è un lusso che non ci concediamo sempre perché, come ho detto, ci espone al rischio. E allora eccoci protagonisti, insieme ad altri, di un’umanità sfregiata, sfigurata, irriconoscibile. Ad un certo punto dal monte scendono e su tutto cala la coltre del silenzio. Forse anche Gesù ha bisogno di capire come andare verso se stesso, un altro se stesso. Ma è il cammino di ciascuno, verso la Pasqua, la propria Pasqua, passando per la fatica, ma solo se è strada per rivelare e regalare il meglio della nostra umanità, il bello di noi.


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