Domenica 18 maggio – V di Pasqua anno C – Giovanni 13,31-33a.34-35
È sempre nuovo il comandamento dell’amore perché abitiamo senza sosta nuove frontiere e sono quelle in cui incrociamo nuovi altri o comunque le persone di sempre che sono nuove di continuo, come noi, per ciò che vivono e sperimentano, scelgono o subiscono, patiscono o ciò per cui esultano. Amarsi! Come si fa? Perché non è facile. Gesù nei vangeli ci mostra che amare qualcuno significa sposare la sua causa, assumerla come propria, non ignorarla. Gesù non fa che darsi da fare per riconsegnare dignità a chi la cerca, a chi l’ha persa, a coloro a cui è stata rubata. Amare è trovare la forza di uscire dalla propria area di sicurezza e incontrarti in quella della tua incertezza, della tua fragilità, della tua precarietà, del tuo bisogno. E ce ne vuole di forza perché siamo tentati tutti di ripararci e rintanarci dentro confini di garanzia perché gli altri restano di fatto un fastidio, un intrigo, un peso, una noia. Amare è decidere di circoscrivere, di porre un limite alle proprie pretese e dilatare lo sguardo ben oltre noi, il nostro preciso bisogno, la nostra esclusiva soddisfazione. Penso al vicino referendum sulla cittadinanza, tanto per non parlare di aria fritta, e al fatto di favorire che, nel chiaro rispetto di alcuni criteri, gli stranieri possano accedervi con più facilità, in cinque anni e non in dieci. Amatevi anche voi gli uni gli altri. Donatevi l’amore perché l’amore non fa nessun male al prossimo, leggiamo dalla lettera ai Romani di Paolo, pieno compimento della Legge è l’amore. Sto leggendo un libro molto intenso di Matteo Bussola, La neve in fondo al mare. I genitori di un adolescente ricoverato in psichiatria dialogano fra loro parlando del figlio: “Nessuno in questa famiglia ha mai preteso che fosse il primo. Lo fa perché vuole essere amato. Ma se lo amiamo sopra ogni cosa? Sì, però gli abbiamo fatto credere che l’amore c’entri con il merito”. Amare davvero è accettare che avvenga in perdita. Le prime righe del vangelo di oggi parlano di un amore sprecato, quello di Gesù per Giuda. Un amore che accetta il fallimento ed è disposto a chiamare quel fallimento gloria. Venerdì sera siamo stati a Malo, presso il Santuario di Maria liberatrice. L’immagine a cui da secoli si tributa devozione è una Madonna incinta e come ha visto chi c’era il ventre è dilatato in maniera decisamente esagerata. Le braccia che vorrebbero circondarlo e quasi contenerlo non ce la fanno, sono tenute obbligatoriamente larghe da quelle ampiezze abitate dal Verbo. Sono le braccia larghe di chi ama, di chi, in nome del vangelo quelle braccia non può tenerle conserte, incrociate. Larghe perché larghe sono quelle del Cristo sulla croce e accanto alla vita di tutti, anche a quella di noi poveri Giuda, amati oltre ogni limite.
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