Domenica 13 aprile 2025 – Palme C – Luca 19,28-40
Giovedì sera scorso don Dario Vivian ci ha aiutato ad approfondire questo passo del vangelo di Luca: l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme sulla soglia di una settimana che diciamo santa. Ci ha messo fra le mani la riproduzione di un’icona copta, la stessa che abbiamo riportato sul foglietto degli avvisi. Gesù è a dorso di un puledro d’asino. A dorso d’asino inaugurano il proprio regno i re d’Israele, non in groppa ad un cavallo che è l’animale che si cavalca in tempo di guerra. Gesù allunga la fila di coloro che a dorso d’asino intendono inaugurare una stagione di pace, magari quella definitiva. Gerusalemme, ci ricordava ancora don Dario, è la città chiamata ad essere il segno delle due paci: la pace sulla terra, quella che invocano gli angeli alla nascita di Gesù: “Pace in terra agli uomini che egli ama”, e la pace nel cielo, quella a cui si fa riferimento qui: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli”. Secondo quanto leggiamo nel vangelo di Giovanni il giorno in cui Gesù entra a Gerusalemme è lo stesso in cui gli ebrei si procurano l’agnello pasquale e il giorno della crocifissione e quindi della morte di Gesù corrisponderà al giorno in cui gli agnelli vengono immolati al tempio. L’agnello che sale sul puledro, l’immagine dice molto rispetto al modo in cui Gesù è stato al mondo e ci è stato fino alla fine. L’icona copta, ci invitava ad osservare don Dario, raccoglie tutti i discepoli di Gesù sulla groppa di quell’asino, ci sono tutti e dodici. Su quell’asino dovremmo trovare posto tutti noi disposti a stare come agnelli con l’Agnello dentro la vita, dentro ogni suo frangente, anche il più drammatico. È una scelta e oggi entriamo anche noi, ma così, altrimenti che senso ha? Il puledro di un asino non ci regge tutti se vi saliamo bardati con le nostre armature, vestiti in assetto da guerra. Dal quarto canto del servo di Isaia leggiamo: “Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca”.
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