Domenica 13 dicembre 2020 – 3^ Avvento B – Giovanni 1,6-8.19-28

Pubblicato da emme il

Giovedì alla lectio biblica, una persona che vi prendeva parte, condivideva che quanto sentiva da Giovanni, il vangelo che abbiamo appena proclamato, la costringeva a porsi una domanda: “E io chi sono?”. Visto che la stessa domanda rimbalzava con insistenza nelle righe che stiamo considerando. “Tu chi sei?”, chiedono ripetutamente a Giovanni. Quindi: mi conosco? so chi sono? Dare risposte a queste domande è assolutamente necessario se poi tento di essere segno, testimonianza di qualcosa. Se so chi sono, so anche come abitare il mondo, come starci, cosa offrirgli. “Conosci te stesso”, è l’iscrizione che compariva sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, fu il motto che ispirò Socrate nella sua ricerca. Con questa domanda Socrate tormentò sè stesso e i suoi discepoli. Conoscersi per saper rispondere alla domanda: chi sei? Per continuare a tener vivo il desiderio di essere qualcosa, qualcuno e magari qualcosa, qualcuno di diverso, se quello che ho scoperto di me non mi piace. Conosci te stesso, è un imperativo da non liquidare troppo facilmente. Don Vittorio ci invitava a soffermarci sulla risposta di Giovanni: “Io non sono il Cristo”. Per l’austerità del modo in cui si presentava, per i luoghi che frequentava, per le sferzanti parole che pronunciava, Giovanni poteva essere confuso col Messia, poteva incarnare l’idea di atteso, avvicinarsi all’immaginario collettivo circa le caratteristiche di questo personaggio quasi mitico di cui un intero popolo era in attesa. “Io non sono il Cristo”, e la risposta apre la strada a mille altre possibili risposte. Cristo sarà ciò che non ti aspetti, sarà la novità che non immagini, sarà altro da ciò che attendi. E allora io, come Giovanni, cosa posso essere, se non voce che fa luce perché la strada si apra, il sentiero si raddrizzi e venga l’atteso, colui che da sempre è il desiderato? Io, come Giovanni testimone di una parola che agli orecchi dei miseri suona come lieto annuncio, che è come balsamo per le piaghe di cuori spezzati, che è come libertà per chi è ridotto in schiavitù. Io, grido nel deserto diventato giardino, che il Cristo che viene è colui che fa nuove tutte le cose perché le ha fatte nuove in me. Di cosa posso essere testimone se non di ciò che vedo rifiorire nel mio deserto. Questo mi autorizza a gridare. Sono testimone di ciò che sono, di ciò che sono diventato grazie all’incontro che mi ha fatto germogliare. Di quale sconvolgente novità farsi eco se non di quella che ho ospitato fra le pieghe dei miei giorni. Se non ho niente da raccontare di lui è perché non ho niente da raccontare di me e di quello che mi sarebbe potuto succedere se avessi abitato con trasporto l’alleanza di colui che può rivestirmi delle vesti della salvezza e può avvolgermi con il mantello della giustizia.


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