Domenica 14 aprile 2024 – III di Pasqua B – Luca 24,35-48

Pubblicato da emme il

I due che tornano da Emmaus raccontano la realtà di un pane che è stato spezzato. Chi era il tale che li aveva di soppiatto accostati, sorprendentemente accompagnati, benevolmente redarguiti, pazientemente istruiti? Fino ad un certo punto non ha un nome. La sua, un’identità avvolta nel mistero, un innominabile, un fantasma, parola che torna un paio di volte nel vangelo che abbiamo ascoltato. Ebbene, la concretezza di un gesto rende evidente chi sia quel tale. Forse i due erano presenti all’ultimo pasto condiviso, forse avevano spartito un pezzo di vita col rabbi di Nazareth e avevano via via familiarizzato con lui, con i suoi gesti, con il suo stile, tanto da poterlo, a quel punto, riconoscere. Reale un pane che si spezza come reali sono le mani e i piedi feriti perché un corpo è stato oltraggiato, vilipeso, e la vita in quel corpo spenta. Parlano quelle ferite come parla un pane condiviso, parlano di vita venduta che ha scelto di offrirsi, di donarsi. È la realtà di un dono, è la realtà di un uomo attraverso cui il dono transita, circola. L’uomo e il fantasma. Il reale e ciò che reale non è. Ciò che stupisce e fa gioire da una parte e dall’altra ciò che spaventa, sconvolge, turba, confonde. Gesù e la sua umanità realissima, palpabile, toccabile, stringibile, abbracciabile perfino nel Risorto e nei risorti. I fantasmi sono altra cosa, sono lo spettro di ciò che non esiste perché inconsistente, inconcludente, inoperoso. Cosa offre sostanza, densità, contenuto alla vita tanto da renderla reale se non il fatto che sia strumento di un bene concreto? Noi: uomini o fantasmi? I fantasmi, come detto, sono presenza vacue, vuote. Il fantasma è il niente, è le parole che restano parole, è l’impalpabile che racconta l’inconcluso, ciò che non arriva ad assumere carne e contorni. Paolo nell’inno alla carità di Prima Corinzi afferma: senza la carità non sono nulla, senza la carità tutto è vanificato. Il fantasma è il morto non risorto, è colui che rimane nella morte. È Giovanni, nella sua Prima Lettera, ad affermare che si passa dalla morte alla vita quando si amano i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Quindi: siamo vivi o siamo morti? Siamo uomini o siamo fantasmi? La risurrezione è testimonianza che siamo vivi oltre la morte che infesta il mondo, noi, come Gesù. Oggi battezziamo alcuni bimbi nelle due parrocchie. L’ho citato spesso, forse troppo, quell’inno di Turoldo in cui siamo invitati ad essere segno di un’umanità ancora mai apparsa, di un’umanità inedita, questi bimbi siano questo segno, ma perché non noi. Noi testimoni di un’umanità finalmente nuova, non stancamente rieditata, banalmente ricopiata, mediocremente riprodotta. Noi reali come un pane che si spezza, come ferite su corpi che non esitano a darsi.


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