Domenica 14 giugno 2021 – Corpus Domini A – Giovanni 6,51-58
È certo una piccola forzatura scegliere di commentare questa copia del quadro del Veronese in occasione della solennità del Corpus Domini. Il vangelo a cui si ispira è il passo di Luca (7,36-50) che dà il titolo al quadro: Cena in casa di Simone. Il passo di questa domenica è invece ancora tratto da Giovanni e da quel capitolo 6 (51-58) dedicato al discorso sul pane di vita. Perché questa scelta? Perché di recente, un (il) quadro, copia fedele di quello del Veronese, di proprietà della parrocchia di San Zeno, è stato restituito dopo un accurato intervento di restauro. Se quello risale al 1570, il nostro si colloca poco dopo, quindi tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600. L’autore è un anonimo artista veneto. Di come quel quadro sia arrivato a San Zeno niente si sa ma abbiamo accolto il consiglio di restaurarlo per il pregio del manufatto. Si possono dire tante cose dal punto di vista storico e artistico (le abbiamo dette nella lectio che trovate nel sito dell’unità pastorale) ma non ci lasciamo neppure sfuggire l’occasione di compiere parallelamente anche un percorso biblico e spirituale. Qui, è quello che ci interessa. Tenterò di raccordare questa esperienza artistica con la solennità di oggi.
Simone, è il fariseo che sta di fronte a Gesù, il Rabbi che accetta inviti a destra e a manca, che siede alla tavola dei peccatori con la stessa disinvoltura con cui siede a quella dei suoi integerrimi detrattori. Fra Gesù e Simone la peccatrice (forse la Maddalena? Il vangelo di Luca non lo dice… nei vangeli sono raccontate altre 3 unzioni che hanno per protagonista Maria di Betania, la sorella di Marta e Lazzaro, in Gv 12, in Mt 26, in Mc 14). La donna entra di soppiatto in quel solenne convivio e si impone sulla scena con un gesto che lascia allibiti tutti. Guardate quanta sorpresa, quanto stupore, quanta perplessità, quanta contrarietà, quanta severità, quanta indignazione negli sguardi degli astanti. Gesù è invece immerso in una profondissima pace, in una pacatezza invidiabile. Quei tali siamo noi che non capiamo chi sia il Dio con cui abbiamo a che fare. Gli irreprensibili (Simone in quanto fariseo li rappresenta tutti), i giusti, i degni… non capiscono e non accettano un Dio che parteggia con quanti popolano i bassifondi dell’umano… Perché tanta sorpresa indignazione? Perché abbiamo una concezione troppo alta di noi? O piuttosto perché siamo quella donna e non accettiamo di esserlo? Ma la nostra indegnità non basta a tener lontano Dio da noi, a farlo sedere altrove. C’è da chiedersi cos’abbia portato quella donna in un contesto così affollato, troppo pubblico. Perché non un incontro più defilato, meno eclatante? Cosa la spinge a non perdere l’occasione di avvicinare Gesù? Su quella tavola, da cui tanti come lei continuano ad astenersi, c’è posto anche per lei… forse rivendica quel posto, forse ha capito che il Dio di Gesù quel posto gliel’ha già riservato. Gesù è il pane per tutti, è il pane che sazia ogni fame. È il pane per il fariseo che crede di non averne bisogno ed è il pane per la peccatrice che non se ne sente degna. Il vasetto rotto che conteneva l’unguento è l’immagine che qui, come altrove (Giovanni 8,1-11), parla di vita sprecata, donata, consegnata senza calcoli, ciecamente. Alla figura di Gesù fa da contraltare quella di Giuda che già contrariato si alza da tavola. La saccoccia di moneta legata e stretta ai fianchi (è il suo tesoro, il cuore ce l’ha lì) ricorda che sulla scena del mondo c’è anche chi abita le relazioni spremendole, usandole, approfittandone… Nel vangelo di Giovanni proprio Giuda redarguisce, forse Gesù stesso, perché i trecento denari, il prezzo dell’unguento (puro nardo) poteva essere venduto e il ricavato poteva essere dato ai poveri… o poteva più probabilmente ingrassare le borse del ladro, così è definito Giuda. Le mani di qualcuno sottolineano e amplificano quanto già dicono gli occhi… gesti di contrarietà, di sdegno. Pietro (potrebbe essere il tale sulla destra di Gesù) sta come dicendo: “Ma che fai? Che ti lasci fare?”. Qualcuno volge lo sguardo altrove per non vedere, l’indifferenza è spesso la migliore delle reazioni. Simone il fariseo, guarda con sufficienza, quasi impettito nella sua posa da uomo irreprensibile, certo scandalizzato, lo dice anche la posa un po’ ritratta, quel suo arretrare per prendere le distanze da quanto vede. E Gesù è lì con gli occhi persi nello sguardo di ogni altro a interrogare i loro cuori, a scrutare i loro sentimenti, a condannare quanto condannano. Siamo tornati a celebrare l’eucarestia carichi delle nostre solite indegnità, col nostro ammasso di fragilità, con quel che restiamo (forse non siamo diventati migliori di prima) e ci è detto di nuovo che questo è il nostro posto, che la tavola è imbandita per noi, che gli attesi siamo noi perchè la trama e l’ordito del nuovo non sono che l’intrecciarsi della nostra miseria e della sua misericordia. Simone, leggiamo in Luca, arriva a dubitare che quel tale sia un profeta che tanto rumore sta facendo. Il dubbio che manifesta nei riguardi di Gesù è il dubbio che abbiamo anche noi su Dio quando il vangelo ci domanda di credere non in un Dio vendicativo ma in un Dio di compassione. “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. Di cos’ho bisogno anch’io come quella donna? Di pane o di perdono? Del pane del perdono perché solo da quel pane viene la vita. La donna del vangelo vive grazie a quel pane, noi viviamo grazie a quel pane che è Gesù, nel vangelo di oggi leggiamo: “Chi mangia di me vivrà per me” cioè grazie a me. Quella donna vive, quei commensali, che il quadro ritrae, muoiono perché si nutrono di altro: di rancore, di pregiudizio, di supponenza. Non sia il nostro cibo.
questa è l’introduzione artistica…
36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. 39A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure». 41«Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; và in pace!». (Lc 7,36-50)
Paolo Caliaro, detto Veronese, dipinse l’opera, ciò che noi possediamo, ripeto, è una pregevole copia (non è l’originale… sia chiaro… dal 1817 l’originale è collocato nella Pinacoteca di Brera e ha dimensioni bene diverse… quasi tre metri di altezza e più di sette di lunghezza) nel 1570 per il Convento dei frati della Congregazione di San Sebastiano, chiesa veneziana (vi rimase fino al 1797) in cui sono custodite le spoglie mortali del pittore, tanto gli fu caro quel luogo in cui sono a tutt’oggi conservate numerose altre sue opere. Le soppressioni napoleoniche fecero arrivare in Francia anche questo dipinto… compariva, insieme a Cena in casa di Levi, in una lista di 17 opere. L’opera in questione fa parte di una folta schiera di tele che hanno per tema dei banchetti dove il soggetto biblico è collocato nel contesto di una sforzosa festa veneziana, lo dicono i colori sgargianti dei sontuosi abiti (nel quadro in questione… l’originale… smorzati da restauri e ridipinture improvvidi), le pompose architetture che ospitano i commensali… per questi sfondi Veronese si ispira di certo al genio del Palladio e del Sansovino che tanto lavorarono nel veneziano e nel vicentino. Lo dicono anche la preziosità delle stoviglie che imbandiscono le tavole e la raffinatezza dei cibi che venivano serviti a quei convivi. Fanno compagnia a Cena in casa di Simone, visitabile a Brera (Milano); Cena in casa di Levi, visitabile alle Gallerie dell’Accademia a Venezia; Nozze di Cana conservato a Parigi; un’altra Nozze di Cana conservata alla Galleria Sabauda di Torino. I quadri erano stati tutti pensati e realizzati per i refettori di prestigiosi conventi veneti, posizionati per essere guardati da sotto in su, presentano figure imponenti. È curioso il fatto che per il contesto pagano che fa abbondantemente da contorno e da sfondo all’opera realizzata per ospitare un chiaro soggetto biblico, nel 1573 il Veronese subì perfino il processo dell’Inquisizione. L’ambientazione è quella di una lussuosa villa di campagna, campagna veneta naturalmente, il quadro è costruito perché l’occhio affondi nel giardino che si va ad aprire sullo sfondo al centro del quadro. Il Veronese ha collaborato col Palladio alla decorazione di villa Barbaro a Maser. La simmetria della composizione, dovuta all’organizzazione architettonica e al posizionamento ad U del tavolo e alla distribuzione dei commensali, offre monumentalità all’opera. Tutto è molto dinamico, vi contribuiscono i numerosi personaggi presenti, i servitori che attendono al loro compito, il cane e il gatto che si azzuffano al centro del dipinto per contendersi un boccone, Giuda che si alza, il tale che sottrae il fiasco di vino e una serva che solleva un tale che forse ha bevuto troppo con l’intento di accompagnarlo fuori.
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