Domenica 16 aprile 2023 – II di Pasqua A – Atti 2,42-47

Pubblicato da emme il

Venerdì sera abbiamo cominciato col biblista Davide Viadarin a leggere insieme il libro biblico degli Atti degli Apostoli. Sarà un testo che ci accompagnerà per tutto il tempo pasquale, lo incontreremo come prima lettura nelle messe feriali e in quelle festive. Ecco perché abbiamo scelto di leggerlo insieme e di approfondirlo. Ecco perché oggi mi addentro con voi nel passo di Atti che ci è proposto e trascuro per una volta il vangelo. E’ il famoso passo delle quattro assiduità, un testo tutt’altro che marginale pur essendo fatto semplicemente di un versetto. È la sintesi rispetto a ciò che costituisce, dà forma, sostanza ad una comunità cristiana: l’insegnamento degli apostoli e quindi se volete la catechesi, ma non quella per i bambini e i ragazzi, no, no, quella che ha come destinatari gli adulti che nutrono la propria fede con la Parola di Dio, catechesi significa fare eco alla Parola. E poi la comunione, come secondo ingrediente, che non è mettersi in fila per fare la comunione, ma è piuttosto quello che si dice un paio di versetti dopo nel passo che stiamo considerando: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. È quello che già facciamo, vero? Comunione è questo: è stare insieme, è coltivare la fraternità, è fabbricare relazioni vere a partire da quello che ciascuno mette in circolo di ciò che è e di ciò che ha. Il terzo ingrediente è l’eucarestia, la cosiddetta fractio panis. Il convenire anche rituale si realizza attorno ad un gesto simbolico forte che poi contagia l’esistenza. Sentiremo raccontare, domenica prossima, di due che sono in viaggio da Gerusalemme ad Emmaus, sostano a cena con un tale che riconoscono essere Gesù risorto solo nel momento in cui quel tale il pane lo spezza. Quarto ingrediente: la preghiera, quella che sembra, da come continua il testo, fatta ancora al tempio di Gerusalemme, una preghiera gioiosa, di lode, direi pasquale. Ma c’è qualcosa che impreziosisce e avvalora queste prassi: la perseveranza e cioè il fatto che tutto si compia con fedeltà, nel ritmo dei giorni e convintamente, rigorosamente, tenacemente, saldamente. Standoci con fermezza, con costanza, senza arretrare. Provocati da questo passo potremmo chiederci, come singoli e come comunità, se siamo ancora perseveranti e in cosa lo siamo. Qualcuno ha il coraggio di sbandierare la propria identità cristiana e magari di lamentarsi perché si sta smarrendo o illanguidendo questa identità ma di fatto non abbevera più la propria vita di fede alle sorgenti di cui ho appena detto. In cosa perseveriamo, se perseveriamo in qualcosa. Possiamo dirci parte di una comunità cristiana se non siamo il risultato dell’impasto di questi ingredienti: la Parola di Dio, la comunione fra noi, l’eucarestia, la preghiera. Cristiani sì, ma fatti di che, di cosa? Potrebbe essere che si tratti, oggi, di individuare altre priorità e quindi altre perseveranze, ma quali? Oppure basterebbe tradurre le antiche con parole diverse, più parlanti alla sensibilità di oggi, o dare corpo ad esperienze più rispondenti al mutato contesto. Viviamo una stagione in cui si ha comunque ancora  fame di silenzio, di relazioni calde, di parole dense, di riti meno stanchi. Perseveranza… è il contrario di provvisorietà. E in un tempo in cui tutto è davvero provvisorio forse dovremmo ritrovare il coraggio della perseveranza, cioè di un ritmo che forgi il nostro dentro e lo sostanzi perché non si sfaldi e non si sciolga ma mai per contrapporsi, sempre e solo per generare vita dentro e attorno.


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