Domenica 18 giugno 2023 – XI TOA – Matteo 9,36-10,8

Pubblicato da emme il

“Vedendo le folle, ne sentì compassione”. Parlavamo di compassione già un paio di domeniche fa, se qualcuno ricorda, citando proprio l’impossibile parola greca: splagchnizomai. Parola per dire di un cuore attanagliato da un sentimento incontenibile. Le folle, che muovono a compassione Gesù, nel vangelo appena sentito, sono paragonate ad un’abbondante messe. Se non raccogli il frutto ci pensano gli animali a fare incetta o se ne occupano il tempo e le intemperie. La compassione fiorisce se l’altro mi sta a cuore. Mi occupo di lui se mi interessa altrimenti lo lascio in balia di se stesso. Servono operai, afferma Gesù. È necessario che qualcuno si occupi del bene di altri. È così, siamo affidati alla cura reciproca. Se interesso a qualcuno vivo, se non interesso a nessuno muoio. Se mi interesso di qualcuno, questi vive, se mi disinteresso di lui la sua non sarà vita. Patiamo il disinteresse degli altri, la loro incuria nei nostri riguardi, la loro indifferenza. Gli altri chiaramente patiscono la nostra. E dunque io chi sono? In che società vivo? A che chiesa appartengo? Sono pochi gli operai. E noi superficialmente pensiamo a preti e suore. Sono pochi gli operai significa che sono pochi, ancora troppo pochi, sempre pochi, coloro che hanno a cuore la sorte degli altri, che mettono in conto che l’altro c’è e che sono chiamato ad occuparmene. “A stento qualcuno è disposto a morire per un giusto”, abbiamo sentito dalla lettera ai Romani di Paolo. Io cosa sono disposto a fare, che significa a perdere, per te? Gesù ne costituisce dodici e li manda perché vadano, non fra i pagani, quelli a cui crediamo di dover insegnare qualcosa, no no, fra i giudei, fra la gente del popolo da cui essi stessi vengono, pecore perdute. E pure noi, pecore perdute, perché abbiamo smarrito il senso dell’esserci, che è sempre e solo esserci per qualcuno, a favore di qualcuno, perché altrimenti cos’è esserci? Esserci per me stesso? Andate e cercate il senso dell’esistere fra i bisogni delle persone che incrocerete. I persi siete voi e avete bisogno di ritrovarvi nei volti delle persone di cui dovete accorgervi. Andate per ritrovarvi, per guarire voi stessi dall’apatia, dalla freddezza, dall’impassibilità, dall’imperturbabilità, dalla pigrizia. Andate e nel fare per gli altri probabilmente vi ritroverete. Nel fare per gli altri, non nel dire agli altri. Mi piace notare che lo spazio riservato alle parole da dire è misurato: “Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino”. Il resto è darsi concretamente da fare, è sporcarsi le mani ed è molto di più: “guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni”. Persi, ci ritroviamo solo nel volto di chi, ritrovando dignità grazie a noi, la dignità, la nostra, ci permettono di ritrovarla. Siamo restituiti a noi stessi nel darsi, non nel trattenersi, nel preservarsi. 


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