Domenica 18 settembre 2022 – XXV TOC – Luca 16,1-13

Pubblicato da emme il

Cos’è la ricchezza vera, espressione che incontriamo nel vangelo di oggi, in contrapposizione all’altra espressione: ricchezza disonesta. È tutto quel bene che si moltiplica perché viene condiviso. Abbiamo in mente il cosiddetto miracolo della moltiplicazione: non è il tanto che c’è ad essere spartito, è piuttosto l’aver deciso di condividere che moltiplica il poco che c’è e rende tanto, copioso, abbondante quel poco. La ricchezza vera è l’umanità di cui colmo la mia vita, l’esistenza mia e di altri. La ricchezza vera sei tu fratello, sei tu sorella, bene irrinunciabile, ricchezza inestimabile, se pur a tratti scomoda e faticosa. Domenica scorsa eravamo al pranzo organizzato al Parco dell’Amicizia ed ero seduto vicino ad una signora anziana sola e un po’ malconcia in termini di salute, ebbene mi raccontava nel dettaglio quale fosse la sua ricchezza: la vicina che la accompagna dalla parrucchiera, l’altra che gli fa la spesa, il signore che gli porta fuori la spazzatura, la vicina che tutti i giorni immancabilmente la va a trovare e le regala decise, a tratti audaci, parole di incoraggiamento. La ricchezza vera non è forse questa? Essere attorniati di umanità calda e generosa e quindi sprigionare tutto l’umano che possiamo perché si moltiplichi. Ieri avevo una giornata no, di quelle che capitano a tutti, sarà forse l’angoscia legata alla ripresa, e cosa mi ha curato, cos’ha lenito quel malessere, beh due passi sulle rive del Brenta e le tante persone che ho chiamato perché riempissero il vuoto o mi distraessero da pensieri malinconici. Non è forse ricchezza questa? Quella vera intendo. La disonesta è invece quella che ci fa fintamente ricchi. Per un verso è la ricchezza monetizzabile, misurabile, spendibile, investibile, per l’altro è la ricchezza impossibile, quella sognata, agognata, desiderata ma al di là di ogni possibile concretizzazione, è quella finta che ti sequestra alla realtà, che ti tiene lontano dal qui ed ora, dai volti vicini, dalla storia contingente. È fuga dalla bellezza che ti attornia, perché non la vedi, e abbandono all’abbraccio mortifero di una bellezza che non c’è, e che ti ostini a cercare. Quante volte questi sogni malati ci deragliano dalla vita. C’è un’altra parola intrigante nel vangelo di oggi, la parola scaltrezza. Gesù loda la scaltrezza dell’amministratore disonesto e poco dopo afferma che i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce. Qui mondo ha evidentemente un’accezione negativa, i figli del mondo sono quelli che la ricchezza di ogni tipo l’accumulano senza condividerla, i figli della luce sono invece i discepoli che si fanno governare da altre leggi. È chiaro che non si tratta della separazione e dell’opposizione di due categorie di persone ma di noi che dentro siamo al contempo tenebra e luce, che in noi convivono e si contendono il primato. La tenebra, sembra dire Gesù, è più scaltra della luce che si fa largo con pigrizia nella vita di ciascuno, come qualche nuovo giorno che lentamente si apre al sole. Siamo così scaltri su certi fronti e così indolenti su altri, magari proprio su quelli che potrebbero generare la ricchezza vera di cui abbiamo detto. Ma quanto mi affascina quella ricchezza disonesta che mi sequestra al reale e mi consegna all’illusione. Dal libro di Amos abbiamo letto parole feroci, decise. Il Signore dice: Non dimenticherò mai tutte le loro opere”. Ma come non dimenticherà le inique, quelle che producono ricchezza disonesta, non dimenticherà neppure quelle che generano la ricchezza vera, quella che sgorga da un’empatica e appassionata immersione nell’umano di ciascuno, a partire dal mio.

E a proposito dell’abbraccio di una bellezza (ricchezza) mortifera, illusoria contro quello di una bellezza (ricchezza) vera, vi consegno una poesia che in questi giorni mi ha regalato un’amica. L’ha intitolata: Scusate

Io non abbraccio

gli alberi,

scusate.

Mi scortica la pelle

la corteccia

(ricordo d’un estate

col mio salice)

e facile mi sanguina

per via di come faccio 

ogni mio abbraccio.

D’accordo:

abbraccio

qualche volta

lisci, i sassi

e abbraccio, come posso, mille volte

le farfalle.

La loro fantasia.

Ma sempre preferisco

l’abbraccio con l’umano

(anche solo la mano

stretta nella mia).

Tu cosa preferisci?


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