Domenica 19 novembre 2023 – XXXIII TOA – Matteo 25,14-30

Pubblicato da emme il

Non posso non focalizzare la mia e quindi la vostra attenzione sulla figura del terzo servo, colui al quale il padrone affida soltanto un talento, che in ogni caso non è poco. Un talento cioè diecimila denari, il denaro era la paga di un giorno, quindi 27 anni di lavoro, quindi mezzo milione di euro. Questi sono i conti. Ma mi interessano fin là. Ciò che fa il servo l’abbiamo sentito, scava una buca e vi seppellisce il malloppo. Perché? Fa forse l’offeso? Se l’è presa perché gli altri due hanno avuto di più? No, la questione è un’altra. Non è il quanto mi è stato affidato, è piuttosto l’idea che ho di colui che mi affida qualcosa. Quel padrone è così duro che io non posso che temerlo, non posso che averne paura. È l’idea che abbiamo di Dio? È il sospetto che nutro nei suoi riguardi? È l’antagonista, il rivale, più che il partner e l’alleato? Vorremmo superarla questa idea su Dio ma forse non l’abbiamo ancora superata del tutto. È il Dio che penalizza me e favorisce qualcun altro, è il Dio che tiene i conti e me li fa, è il Dio per il quale non sono mai abbastanza. Credo sia questo il punto, l’idea di Dio che ho. Non so perché ma metto insieme il ritornello degli inizi: “Dio vide che era cosa buona”, parola detta alla fine di ognuno dei sei giorni della creazione e quel “Bene, servo buono e fedele” che il padrone della parabola indirizza ai primi due servi, quelli che trafficano e moltiplicano quanto è stato loro affidato. Il buono che fiorisce da Dio è il buono che può fiorire anche grazie alla mia opera, al mio intervento, al mio contributo. Posso essere quel partner ideale per offrire altro impulso alla vita, altra energia al vitale al mondo. Altro che sotterrare. Si sotterrano i morti o ciò che voglio far morire. Ma sempre in Genesi, all’inizio, Dio che affida il giardino all’umano invita a coltivarlo e custodirlo. Trovo che coltivare significa condurre l’aratro, solcare la terra e aprirla perché la vita possa essere seminata e attecchire. Custodire significa invece proteggere, anche nascondere ma per riparare, per non esporre al rischio, non per impedire la vita, non per soffocarla, non per reprimerla. Potremmo forse disegnare la mappa dei nostri sotterramenti, cosa abbiamo sotterrato per paura che germogliasse e vivesse, e dove, davanti a quali paure? Non deve succedere, siamo i servi della vita che abbondante chiede di trovare ospitalità, non la sua negazione. “Ti darò potere su molto”, dice il padrone ai servi che hanno moltiplicato la sua ricchezza. È il potere che è affidato anche a noi, quello di moltiplicare la vita, di farla abbondare, tracimare. Gesù è il volto di un Dio di tenerezza, è il volto di un Dio di cui non aver paura. È colui che sepolto nel ventre della terra risorge perché ogni uomo sia figlio della luce e del giorno, perché nessuno appartenga alla notte e alle tenebre.


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