Domenica 2 luglio 2023 – XIII TOA – Matteo 10,37-42
“Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2). Dopo essermi affacciato sui testi biblici di oggi mi è venuto alla memoria questo passo tratto dalla lettera agli Ebrei che fa chiaramente riferimento all’episodio che narra Genesi e nello specifico alla visita che Abramo e Sara ricevono presso le querce di Mamre dai tre pellegrini che godono di una squisita accoglienza e andandosene tra i sorrisini increduli di Sara annunciano, come leggiamo anche dal Secondo libro dei Re in favore della donna di Sunem, un figlio da stringere fra le braccia. L’ospitalità e l’accoglienza, pratiche dell’umano che l’uomo religioso radicalizza tanto da farne una delle cifre determinanti del proprio statuto di credente. Può esistere un cristiano inospitale, ostile agli altri? Direi proprio di no e lo affermo convintamente a partire dalle aperture di cui sono stato capace ma a partire anche dalle chiusure e dai rifiuti di cui mi sono reso protagonista. Hostis e hospes, due parole latine che sono legate fra loro da un’evidente assonanza ma in realtà sono distanti mille miglia per significato. Hostis è il nemico, hospes è l’ospite. Il vangelo è drammaticamente chiaro in alcuni passaggi. Nello stesso vangelo di Matteo leggiamo: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,44). E l’evangelista Luca (6,27-28) non fa altro che mettere benzina sul fuoco “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledico, pregate per coloro che vi trattano male”. È un messaggio molto chiaro, che non consente interpretazioni arbitrarie, che non ammette scappatoie. Se non l’avete già fatto regalatevi, quest’estate il tempo per leggere la Fratelli tutti di Papa Francesco, l’enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale che risale a già quasi tre anni fa. Tornando a sfogliarla rapidamente ritrovo sottolineate alcune parole come: spiritualità della fraternità o cultura dell’incontro. E mi sono imbattuto, al numero 223, nella parola chrestotes che ritroviamo nella lettera ai Galati di Paolo (5,22). Chrestotes, cristiani. Non sembrano parole lontane, tutt’altro. In italiano è tradotta con benevolenza. Chrestotes è l’uomo, scrive il Papa, che esprime “uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinchè la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce”. “Oggi – continua il Papa – raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri… Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile”. E quel miracolo non potremmo essere noi? Noi, come Abramo e Sara, come la donna di Sunem e suo marito, come chi offre un bicchiere d’acqua fresca, come chi perde la vita perché qualcun altro la ritrovi.
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