Domenica 2 marzo 2025 – VIII TOC – Luca 6,39-45
Un bel tacer non fu mai scritto. L’avrete già sentita questa frase, immagino? L’hanno attribuita a Dante ma pare sia stata scritta da un librettista e poeta veneziano ben più vicino nel tempo. Tacere per non dire castronerie, tacere perché la maldicenza non si insinui, tacere perché l’offesa non esploda, tacere per dare il tempo alla verità di emergere, tacere per evitare l’irreparabile, tacere perché non siano gli istinti a prendere il sopravvento. Ma chi ce la fa a tacere? E poi tacere e basta? Tacere sempre? “La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”, abbiamo sentito dal vangelo. E allora, più che la bocca, il problema è il cuore perché è da lì che sgorga il buono o il cattivo di noi. “Non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”, afferma Gesù. Esistono alberi cattivi e alberi buoni come esistono uomini cattivi e uomini buoni. Ma se sono cattivo posso diventare buono e cosa può rendermi buono? Posso rassegnarmi alla mia cattiveria se fossi cattivo? Sono inesorabilmente condannato ad essa? Mi è offerta la possibilità di immaginare un cambiamento, di sperare una conversione o lo stigma del cattivo mi perseguiterà per tutta la vita, sarà come una macchia incancellabile? Questo cambiamento è ciò che di solito attendo per qualcun altro e pretendo da qualcun altro. Ma io posso diventare buono? La risposta sta appena sopra, nello stesso passo di Luca che abbiamo letto. Scendi dal podio, riconosci il tuo limite, sii umile, non ergerti a giudice. Degli altri ci da fastidio quando pretendono di avere sempre ragione, quando non ammettono i propri errori, quando si difendono ad oltranza, quando impongono la propria verità. Ma stiamo in pace, è ciò che gli altri non sopportano di noi. Ho in mente una frase della Scrittura, una delle poche che ricordo a memoria, è un versetto dal Profeta Geremia (17,9): “Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere?”. Torno al tacere, con cui ho aperto. Se fosse proprio il silenzio a guarire il cuore, un silenzio in cui far riposare gli istinti, le emozioni, i pensieri. “Silenzio, tu mi insegni a parlare”, scrive una maestra del silenzio, Chandra Livia Candiani. Silenzio, cioè legare, cucire, questa è la radice della parola. Trattieni, contieni, non lasciar tracimare il cuore se il cuore, dal silenzio, non è ancora stato guarito. “Quando un uomo discute, ne appaiono i difetti… il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo… la parola rivela i pensieri del cuore”, sono tutte lapidarie sentenze del Siracide. Del silenzio abbiamo paura perché in esso ci perdiamo, ma è di fatto l’unica strada per ritrovarsi nuovi e magari buoni. Percorriamola e forse finalmente raccoglieremo uva e fichi.
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