Domenica 23 giugno 2024 – XII B – Marco 4,35-41
Troppo bella la seconda lettura per non starci su, per non abitarla con un po’ più di consapevolezza. Uno è morto per tutti, scrive Paolo ai cristiani di Corinto nella seconda lettera che indirizza loro. Uno è morto per tutti perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. Satnam Singh, trentunenne indiano in Italia da tre anni, muore sui campi dell’Agro Pontino. Una macchina gli strappa un braccio e gli lesiona anche gli arti inferiori. Il datore di lavoro impaurito perché la sua non è un’attività totalmente in regola e teme guai legali lo carica sul furgono e lo lascia davanti alla casa in cui vive con la moglie Sony. Sembra che i telefoni siano stati sequestrati perché non chiamassero i soccorsi e si scoprissero le condizioni in cui faceva lavorare i suoi operai. Soccorso, dopo 1 ora e mezza dall’incidente, e trasportato al San Camillo di Roma Satnam Singh non sopravviverà. Uno, di nome Satnam Singh, giovedì 20 giugno, è morto per tutti perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. Ignazia Tumatis, cinquantanovenne di Cagliari, è l’ultima donna uccisa dal marito al termine di una litigata, è il femminicidio numero 20 quest’anno e si sta giocando la posizione con un’altra donna di Arezzo, settantaduenne, Serenella Mugnai, uccisa dal marito. Una, in realtà due, venerdì 21, dopo altre 18 nel 2024, sono morte per tutti perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. 500 mila morti per la guerra che da più di due anni si combatte fra Russia e Ucraina, 10 mila sono i civili ucraini. 32 mila vittime, quasi tutte palestinesi, nel conflitto fra Hamas e Israele. Quante vittime ancora perché quelli che vivono non vivano più per se stessi? In 80 si sono imbarcati su un veliero a Bodrum in Turchia, il mare Jonio ne ha inghiottiti 70, 30 erano bambini. Sono rimasti in balia del mare per 5 giorni, uno dei superstiti, Wafa, iracheno di 20 anni, ha detto: “Abbiamo visto avvicinarsi molte imbarcazioni ma nessuna ci è venuta a soccorrere. Abbiamo gridato, ci siamo sbracciati a lungo, invano”. Tutto questo in prossimità della Giornata Mondiale del Rifugiato che dal 1951 si celebra il 20 giugno di ogni anno. Quante vittime ancora perché quelli che vivono non vivano più per se stessi? Forse non volevate risentirle queste storie che i giornali e i telegiornali hanno già riportato ma forse l’amore di Cristo non ci possiede ancora, forse non abbiamo ancora smesso di vivere per noi stessi, forse il nostro sguardo su certa umanità non è ancora cambiato, forse non siamo ancora creature nuove, forse il vecchio non è davvero passato, forse non siamo ancora in Cristo. Siamo anche noi come i discepoli del vangelo nel bel mezzo della tempesta, le onde si rovesciano sulla nostra barca. E la paura continua ad assalirci. Il contrario della fede non è l’incredulità, è la paura. Forse noi Gesù l’abbiamo lasciato a terra oppure non accettiamo che stia con noi sulla barca così com’è (lo presero con sé, così com’era, abbiamo letto da Marco). Cioè come colui che sa dire Taci a quel vivere per noi stessi che è da sempre la tempesta contro cui dovremmo combattere. Ma spesso pare ci vada bene essere in balia del peggio di noi.
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