Domenica 23 ottobre 2022 – XXX TOC – Luca 18,9-14

Pubblicato da emme il

Quant’è faticosa la convivenza. Che ne dite? Sarà per questo che un sacco di gente vive da sola? È faticosa perché non è affatto facile darti ragione, accettare il tuo punto di vista, assecondare le tue idee. Tutto questo in forza del fatto che io ho le mie ragioni, le mie idee, le mie convinzioni, che di frequente si contrappongono alle tue. Cos’è giusto, cos’è vero? Generalmente quello che penso, dico, faccio, io. Gesù con la parabola che oggi ci è offerta si rivolge a tutti coloro che hanno la presunzione di essere giusti e per questo disprezzano gli altri. Mi intriga l’aggettivo intima, l’intima presunzione, per dire di quanti sono cocciutamente, irremovibilmente convinti di essere nel giusto. Ma cos’è giusto? Gli altri sono solo un branco di imbecilli, di incapaci, di inetti? La verità è tutta mia e solo mia? Vorrei fosse un po’ più facile confrontarsi con me, rapportarsi con le mie idee, magari non così granitiche, interloquire con le mie parole, magari non così perentorie, collaborare nella stessa opera, evitando di imporre un metodo indiscutibile. Bisogna saper scendere a compromessi, a patti, si dice, per cercare un punto di incontro altrimenti è sempre e solo scontro. Sto leggendo un libro in cui dialogano un biblista e uno psicoanalista. Confrontandosi sulla vicenda antica e mai tramontata di Caino e Abele il biblista, Andrè Wenin, afferma che Dio accettando il sacrificio di Abele fa finalmente esistere Abele ai propri occhi. Agli occhi di Caino Abele non esisteva. Qualcuno si accorge di Abele e a questo punto Caino progetta di eliminarlo per tornare a godere da solo di tutto, ad aver ragione su tutto. Non vi pare che spesso siamo repliche di quel Caino che non fa esistere gli altri per non essere offuscato, sminuito, deprezzato? Disprezzare gli altri è proprio non riconoscerne il valore. E allora ci pensa Dio se non siamo capaci di pensarci noi, viziati come certi bambini. Da una parte ci sono quelli che si presumono giusti e dall’altra quanti sono giustificati, cioè resi giusti da Dio, che vede, che apre gli occhi su di loro, senza puntare il dito, ma li apre anche su chi si gonfia arrogantemente d’orgoglio e sputa sentenze sugli altri, e certo non li loda. C’è un passo nel vangelo che ci fa rosicare: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Ma come? Ebbene sì! Il fariseo del vangelo è pieno di sé e se ci avete fatto caso l’interlocutore è se stesso, non è Dio: “Pregava così tra sé”. Il pubblicano invece resta con la testa bassa a distanza. È la distanza che può essere colmata dalla misericordia. Così miseri, per un verso, e per questo avvicinabili. Così pieni di sé, per l’altro, e quindi così inavvicinabili. Il cammino che si apre è quello dell’umiltà, l’umile è colui che riconosce ciò che è, accetta la propria verità e questo fa sì che non si avventuri a giudicare chicchesia.


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