Domenica 26 marzo 2023 – V di Quaresima A – Giovanni 11,1-45

Pubblicato da emme il

“Colui che tu ami tanto è malato”. “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. “Guarda come lo amava”. Ho raccolto le tre brevi frasi che nel lungo vangelo di questa domenica testimoniano il forte sentimento che nutre la relazione fra Gesù e questi tre fratelli. E metto insieme anche alcune cose che ho collezionato nel corso di questa settimana. Ieri (venerdì), era il suo compleanno, ho chiamato…, un’amica di…, che sta curando un tumore. Fa l’insegnante in una scuola superiore. Mercoledì, dopo una lunghissima assenza, è tornata a scuola. Ebbene, per accoglierla, nell’atrio erano raccolti tutti gli studenti con la sua quinta in prima fila. Al suo ingresso l’ha travolta un fragorosissimo applauso, l’abbraccio caldo di centinaia di giovani che stavano collaborando per togliere la pietra da un sepolcro nonostante l’odore della morte ammorbi ancora la vita con i suoi miasmi. Potentissime le immagini che ho visto, nel video che qualcuno aveva girato, immagini che rendono vere le parole del vangelo: “Questa malattia non porterà alla morte”, parole che assomigliano molto a quelle che abbiamo incontrato anche una settimana fa: un uomo è cieco dalla nascita. Chi ha peccato? Chiedono a Gesù, lui o i suoi? Nessuno, risponde. È perché in lui siano manifestate le opere di Dio. È l’opera che manifesto anch’io se nella morte ho il coraggio di esserci con tutto l’amore di cui sono capace. Un amore che peraltro a volte sembra non bastare. Ieri chiamo un’altra amica reagendo ad un suo vocale disperato, è una donna con un forte disturbo psichiatrico. Resto al telefono per tutto il tempo che posso ma mi rendo conto che sto consegnando soltanto briciole e ho la chiara impressione che ciò di cui sono capace non solleva neppure di un centimetro la pietra che schiaccia una vita che sembra più morta che viva, motivo per cui la morte a volte la vuole, la desidera più potentemente della vita stessa. Qui che fare, come essere segno della gloria di Dio? Come immaginare qui che la morte sia per la vita? Cosa ci vuole qui? Sapete cos’ho pensato, ve lo dico a rischio di non essere capito o di suscitare scandalo, ho pensato che la morte può essere la risposta dove la vita sembra non esserlo affatto. “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Sono le parole che entrambe le sorelle consegnano quasi come un rimprovero a Gesù. È la loro speranza delusa. Esserci, per contrastare la morte, per aiutare ad abitarla e magari a superarla. Ma quando non è possibile, quando non ce la facciamo? Giovedì abbiamo partecipato al ritiro spirituale dei preti della zona. Sono incontri in cui si intrecciano la Scrittura, la vita, il cinema. Arianna Prevedello che ci accompagna in questa avventura ci ha proposto un intensissimo film norvegese, Hope, e uno di noi ha raccontato come è transitato dentro la malattia, a 27 gli avevano diagnosticato una neoplasia maligna, e come la malattia abbia trasformato la sua vita perché non fosse per la morte. Ha citato un pezzo del Vexilla Regis, un inno composto da San Venanzio Fortunato: la Vita (con la V maiuscola) ha subito la morte e, con la morte, ha ridato la vita! Cristo stesso accettò la morte, per aiutarci a vincerla. Anche se muore vivrà. Leggiamo dal vangelo. La morte, sembra l’inevitabile passaggio. Ma verso quale vita? E chi ce la dà quando non sappiamo darcela? L’unica risposta che conosco è l’amore, ma per fortuna non c’è solo il mio, non c’è solo l’amore di cui io sono capace.


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