Domenica 27 dicembre 2020 – Santa Famiglia B – Luca 2,22-40

Pubblicato da emme il

La Santa Famiglia. E chiamando santa quella di Gesù abbiamo ahimè idealizzato tutte le altre. Scusate questa partenza un po’ brusca ma ditemi se non corriamo il rischio di vivere continuamente frustrati dal fatto di aver messo sul piedistallo questo istituto sociale. Le prime due letture di oggi ci riconsegnano la figura mitica di Abramo, nostro padre nella fede, tessendone gli elogi, e accomunando la moglie Sara. Grande è quel Dio che concede ad una coppia di vecchi disperati la gioia di una posterità. Ma i testi di oggi omettono un po’ di cose. Non si dice che per avere a tutti i costi una discendenza Abramo e Sara chiedono in affitto l’utero di Agar perché dia ad Abramo un figlio. Lo chiameranno Ismaele. E non si dice neppure che con il sorprendente arrivo di un figlio loro, Isacco, decollerà piano piano fra le due donne un conflitto che col consenso di Abramo sfocerà nella cacciata di Agar e del figlio Ismaele che sospinti nel deserto sfioreranno la morte se non fosse stato per l’intervento altrettanto provvidenziale di Dio. Ecco un quadretto famigliare “esemplare” che nientemeno che la Bibbia ci offre sfogliando le sue pagine e non è neanche il primo. La conosciamo tutti la vicenda di Adamo ed Eva, dall’idillio degli inizi ben presto si precipita nel dramma dell’accusa reciproca e nelle ancor più tristi vicende che vedono coinvolti i figli: Caino e Abele. Altra bella istantanea famigliare. Se poi dovessimo mettere sotto i riflettori la famiglia che oggi festeggiamo avremmo altro da aggiungere: la fatica, certo superata, di Giuseppe di riaccogliere una donna che porta in grembo un figlio non suo. Lo smacco che ricevono quando tornati a Gerusalemme per riprendersi il figlio si sentono esautorati del loro ruolo: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Oppure ben più avanti quando nei vangeli si racconta di un Gesù cresciuto che miete sempre più consensi e attorno al quale si inspessisce il numero dei seguaci, raggiunto dalla madre e dai familiari che lo cercano dirà lapidariamente: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”, parole non così leggere se lette come presa di distanza. E non ci siamo certo dimenticati quel passaggio che troviamo nel vangelo di Marco in cui si legge: “I suoi uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “E’ fuori di sé”. A questo punto potreste chiedermi… e il senso di questo ammasso di riferimenti qual è? Cosa vuoi dirci? La famiglia che oggi festeggiamo è santa non per i successi che ha inanellato uno dopo l’altro (la solidità della coppia, l’affermazione professionale, l’agiatezza economica, la corresponsione dei figli alle aspettative dei grandi) ma piuttosto perché ha abitato la fatica di accogliere l’inedito, lo scandalo, il dolore, la disillusione, la sconfitta perché inedita, scandalosa e dolorosa è stata tutta la vicenda del Cristo. Quando abitiamo la vita proprio nella sua incompiutezza, nella sua indefinitezza, nella sua incertezza, possiamo tentare di intravedere e riconoscere la luce, quella che i vecchi Anna e Simeone hanno avuto la lucidità di scorgere. Abitare cioè il mistero delle nostre esistenze e riconoscerle libere nella loro alterità. Esibire una bella famiglia può gonfiarci d’orgoglio ma qual è il prezzo che ciascuno paga? Ricordate tutti che il figlio della promessa, Isacco, un giorno venne condotto dal padre (Abramo) sul monte Moria per essere sacrificato. Quel fatto è conosciuto anche col nome di legatura di Isacco. Isacco legato e poi slegato ma slegato da chi, slegato da cosa. Dalla mia idea di te. Dalla mia volontà su di te. Mi piace pensare che santo significa separato, e se fossero sante quelle famiglie in cui ci è caro separare per proteggere, per difendere, per promuovere, bandendo fusioni e accettando lo scandalo che l’altro rappresenta, se scandalo significa ciò in cui inciampo, inciampare su di te che sei altro da me. Recentemente mi sono segnato una frase che nutriva la situazione in cui stavo e oggi può tornare buona: “Siamo fatti per la disponibilità senza pretesa alcuna: ogni dono ricevuto va ridonato; ogni mistero di vita che curiamo e accompagniamo va liberato per un di più di vita”.


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