Domenica 27 febbraio 2022 – 8° TOC – Luca 6,39-45

Pubblicato da emme il

Io sono il cieco che ha bisogno di appoggiarsi al braccio di uno che ci vede per non finire nel fosso. Io in quanto cieco devo sapermi affiancare a chi vede più in là di me, a chi vede oltre, perché il mio sguardo miope non s’arresti sulla soglia delle questioni, come dei volti, ma cerchi una verità più grande al di là di quello che si vocifera, oltre quello che si crede. Mi fa rabbia quando questa cosa la sento affiorare nei pensieri, nelle parole, nei gesti d’altri e mi domando… perché non sai andare oltre, perché non riesci a vedere più in là? Ma quante volte il mio sguardo si ostina su evidenze che traggono in inganno, che mascherano una verità più piena, un orizzonte più dilatato? Non sempre mi ritrovo disposto ad allargare il pensiero, a fabbricare parole più dense, meno vaghe e superficiali, a forgiare gesti meno scontati, più vasti. Mi blocca il pregiudizio, mi trattiene una mente sclerotizzata. Se la figura di Gesù è affascinante lo è perché la sua misura è quella di cui è capace Dio stesso, pensiamo a quante ristrettezze violate, a quante chiusure scardinate, a quanti confini superati, a quanti limiti varcati. E tutto questo evitando di fermarsi appunto sul bordo dei volti, delle storie, dei racconti. Perché privarsi della possibilità di gustare il frutto buono che cresce sui tuoi rami a partire dall’ostinata idea che l’albero che li produce sia un albero cattivo? E quante volte ci può essere successo che il buono di noi sia andato sprecato perché nessuno si è avventurato fra le intricate fronde di noi per cercarvi un frutto gustoso? Quante volte priviamo noi stessi della medesima possibilità quando ci imbattiamo negli altri, quando distrattamente li approcciamo senza il coraggio della profondità. Perché vediamo solo paglia e travi quando le nostre vite si incrociano. Tu così abile a vedere il mio difetto e io così pronto a scovare il tuo, quasi fossimo solo impastati di limite. Risplendete come astri nel mondo, recita il versetto al canto del vangelo, è un passo di Filippesi. Vorrei aver occhi, come Gesù, per tutto ciò che nella tua vita sfolgora, non solo per ciò che della tua vita mi fa distogliere lo sguardo perché lo aborrisco. Sarebbe un buon esercizio sapersi accorgere di tutto il buono che ciascuno trae fuori dal tesoro del suo cuore aiutando ciascuno a superare la vergogna, il timore del giudizio. Giovedì i capi e gli animatori hanno incontrato uno psicoterapeuta per essere aiutati a calibrare meglio i loro interventi con i ragazzi che seguono in parrocchia, ragazzi carichi del peso di una lunga pandemia. Ciò che ho portato con me dopo l’incontro è proprio quello che ho detto un attimo fa: aiutiamoli e aiutiamoci a trovare il coraggio di esporsi, di misurarsi con la vergogna, perché non sarò solo capace del peggio di me, ma del mio meglio, del buono che devo poter mostrare senza essere bloccati dal timore che vedano solo le mie travi.


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