Domenica 3 ottobre 2021 – 27^ TOB – Marco 10,2-16

Pubblicato da emme il

Soli no, assolutamente, ma l’altro chi è? Nelle prime pagine della Bibbia si dice che l’altro è un aiuto che mi corrisponde, un alleato che mi sta davanti, mai sotto, qualcuno che ha la mia stessa dignità, tanto che viene dal fianco, per richiamare l’idea di contiguità, di prossimità, di compagnia. Non è l’animale che tieni al guinzaglio e che fa quel che gli ordini, non è la bestia che chiudi in un recinto per governarla a tuo piacimento. L’altro è come te ed è colui che ti porta fuori dalla brutalità per farti approdare nella terra dell’umanità o della civiltà, se volete, dove civiltà non coincide con progresso tecnologico ed economico. Civile è l’uomo che diventa umano, che non resta bestia (parola che a proposito di certi fatti abbiamo sentito ripetere in questi giorni… la Bestia). L’uomo non è strappato dalla solitudine quando esercita la sua autorità dando un nome agli animali. C’è un sacco di gente che si fa bastare l’eletta compagnia di un animale. Ma lì la solitudine non è vinta, è solo illudersi che sia vinta. Certo la compagnia dell’uomo è faticosa perché l’altro è uno che ti sta davanti contro, direbbe una traduzione più letterale del testo biblico. Contro, cioè opponendoti la sua statura, la sostanza di cui è fatto, il suo diritto ad essere come te. Ma questo diventa sempre più faticoso e conflittuale in una cultura iperindividualista dove, e cito le parole della sociologa Chiara Giaccardi, è buono e vero solo ciò che mi fa stare bene, dove libertà è uguale a scelta, e dunque vale solo ciò che si sceglie; dove l’altro non è davvero altro, ma una mia estensione, un mio possesso; dove l’autoreferenzialità è così alta che abbiamo dimenticato che il movimento dell’amore è un movimento fuori da sé e paradossale: volendo il bene dell’altro alla fine facciamo anche il nostro, mentre ossessionati dal nostro bene distruggiamo noi e chi ci sta vicino”. Chiara Giaccardi scrive queste parole riflettendo sulla questione drammatica del femminicidio. Ripudiare l’altro, questo verbo su cui insiste il vangelo di Marco è quanto, nella cultura del tempo, è concesso all’uomo non certo alla donna. Rifiutare l’altro, o meglio l’altra quando pretende di essere trattata con dignità, riconosciuta nel suo valore, quando non accetta di essere ridotta ad animale che tieni al guinzaglio, questo non può succedere, afferma Gesù nel vangelo. Tu non te ne liberi perché pretende di starti davanti contro, opponendoti la sua statura, il suo valore. Diventa umano, uomo. Questa è la risposta, non il rifiuto. Non ripudiare, sentenzia Gesù. Questa legge difendeva il debole, e la donna stava tra i soggetti deboli, senza un uomo era nessuno, senza un uomo restava in balia della sorte peggiore: prostituzione, accattonaggio. Per questo motivo si parla anche di bambini nel vangelo, altra categoria di inutili, di indifesi. Alla luce dell’oggi che dire? Stare insieme come coppia non è più un contratto, è piuttosto un patto e quel patto resta in piedi se reciprocamente ci riconosciamo per quel che siamo. Vacilla se qualcuno ci sta dentro trasformando l’altro in un possesso, si sgretola quando i fatti raccontano che non siamo più uno perché qualcuno è più e qualcun altro meno, qualcuno è sopra e un altro sotto. È riconoscere l’unicità dell’altro, la sua dignità a rendere possibile l’uno. Quando ci si ostina a pensarsi uno ma di fatto a spese di qualcun altro, lì dentro abita già la morte. La cura, se ce ne fosse una, è diventare umani, smettendo di essere bestie che tengono al guinzaglio altre bestie che in realtà sono uomini, magari donne. Non ne farei una questione di genere ma la realtà ci sbatte in faccia i fatti e non possiamo far finta che sia qualcosa di diverso. Ricordiamoci che anche noi, come Gesù, siamo fatti di poco inferiori agli angeli, leggiamo dalla lettera agli Ebrei. E ricordiamoci anche che Dio non si vergogna a chiamarci fratelli, e noi? Noi abbiamo ancora tanta strada da fare… per riconoscere l’altro in tutta la sua sfolgorante dignità.


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