Domenica 30 agsoto 2020 – 22° TOA – Matteo 16,21-27
Pensare secondo Dio o secondo gli uomini. Mi vengono in mente le parole di un salmo, Dio si rivolge all’uomo e gli dice (49,21): “Forse credevi ch’io fossi come te!”. Sarà importante capire dove sta la differenza fra ciò che penso io e ciò che pensa Dio, dove si consuma la lontananza che potrebbe renderci, come Pietro, dei satana. Una parola che usiamo sempre con un certo imbarazzo, con una certa dose di circospezione, tanto sembrano spaventosi i suoi rimandi. Satana qui non è il misterioso e inquietante essere soprannaturale che impossessandosi della mia vita la trascina nella perdizione. Satana sono io in quanto autore di quelle siderali distanze fra ciò che penso, faccio, dico e quello che potrei chiamare Dio, che in realtà non è tanto altro o così diverso rispetto alla valorizzazione dell’umano mio e di tutti, alla promozione di quell’umano che tenta di assimilare il divino ma in quanto stimolo e provocazione ad una migliore espressione dell’umano. Sì, Satana significa nemico, avversario, ma nemico di chi? Di Dio o dell’uomo? Esserlo di Dio in buona sostanza significa esserlo dell’uomo. I nemici di Dio sono i nemici dell’uomo e di ciò che chiamo umano. In ogni caso, questo possiamo essere, nemici e avversari di quella Parola che suggerisce e propone di abitare l’umano in modo tanto divino da rifuggire il rischio di abitarlo in modo viscido e meschino, cioè satanico, quindi in sostanza disumano. Ma come posso essere Satana, posso essere Angelo, e l’angelo è colui che fa della propria esistenza tramite e trasparenza di uno stile che possiamo attingere alla limpida sorgente del Vangelo. A tutti noi capita di incontrare sul proprio tragitto situazioni in cui intravvediamo, abbastanza chiaramente, piuttosto nitidamente, lo zampino di Satana che viene a sparigliare le carte, a metterci lo zampino per rovinare tutto, per creare malumore, ma non si tratta del personaggio con la coda, le corna e il forcone. No, no, quello che non mascheriamo neppure troppo bene dietro le nostre sembianze e i tratti degli uomini e delle donne che siamo. Quel noi che senza troppi veli esibisce la parte satanica di sé e che ben si evidenzia nell’ingordigia, nell’incapacità di dialogare, di perdonare, nel rancore, nell’insensibilità, nell’invidia… è il bestiale che ci domina. L’alternativa c’è ma è esigentissima. Se satana è colui che si difende attaccando, che si risparmia non concedendosi, l’uomo e la donna del vangelo sono perfino disposti a perdersi, il che significa non avvinghiarsi ad un’idea satanica di umano. Significa mollare la presa da certi bordi infestati di disumanità per prendere il largo e abitare la bellezza di un’umanità diversa. Ciò che Gesù annuncia per sé lo annuncia per noi… morire per risorgere. E Pietro non intende capirlo, non lo vuole. Morire a questo umano così inquinato di satanico è faticoso perché significa essere in balia di Dio e di quella rinascita che resta un’incognita. Perdersi per ritrovarsi, questa è la formula, poco matematica, ma che fa tornare sicuramente i conti.
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