Domenica 8 giugno 2025 – Pentecoste C – Giovanni 14,15-16.23b-26
Ieri (l’altro ieri) ho letto su un quotidiano il resoconto sul primo mese di pontificato di Papa Leone del gesuita Antonio Spadaro. C’è una parola che resta impressa nel rileggere i suoi primi discorsi (scrive Spadaro): apertura. Il Papa parla della “sfida dell’apertura” nell’annuncio del Vangelo, intesa come postura essenziale di una Chiesa che sceglie di “saper costruire ponti, sapere ascoltare per non giudicare, non chiudere le porte, pensando che noi abbiamo tutta la verità e nessun altro può dirci niente”. La Chiesa è continuamente estroversa, ha detto ancora il Papa, citando il suo predecessore, l’autoreferenzialità spegne il fuoco dello spirito missionario. Il popolo di Dio è più numeroso di quello che vediamo. Non definiamone i confini. Essere di Dio ci lega alla terra: non ad un mondo ideale, ma a quello reale. Sono parole che in qualche modo commentano soprattutto il passo degli Atti e il racconto che se ne fa della Pentecoste. Quanti sono riempiti di Spirito non impongono la loro lingua, eppure sono tutti galilei, si dice, e quindi avrebbero potuto parlare l’aramaico e pretendere che tutti li capissero. La chiesa ha fatto così per tanto tempo e non solo attraverso la lingua che parlava (il latino), quanto piuttosto imponendo assoluti che di certo non fiorivano da un dialogo, da un confronto, da un incontro. Questa chiesa sopravvive ancora, magari boccheggia, ma tiene su la testa per non affogare, almeno fin che ce la fa. Ma non vorremmo essere chiesa in maniera diversa? E magari aiutare il mondo ad essere mondo in maniera diversa? Gli inebriati di Spirito parlano le lingue native di coloro che riempiono, infestano, inquinano Gerusalemme, altre lingue, le loro lingue. È gente che arriva da ogni dove, dai posti più lontani dell’Impero, da luoghi ignoti. Attenzione, oggi costoro sono sì gli stranieri ma sono anche coloro che italianissimi abitano fra noi senza che ne comprendiamo la lingua. Chi deve fare lo sforzo di capire chi? Se mi abita il respiro di Dio sarò io, in primis, a desiderare di raggiungerti nel tuo mondo fatto di parole che non capisco, di gesti che non comprendo, di idee che non conosco. Ascoltarti e comprenderti è già vangelo, ancor prima di ciò che posso dirti. Nella tua lingua ti dirò ciò che sta a cuore a me, ma imparando la tua lingua saprò dirtelo nel modo più opportuno, meno violento, meno giudicante, meno arrogante. Se tu vuoi insegnare una cosa a Pierino devi conoscere Pierino. E poi quel giorno di Pentecoste in realtà deve ancora compiersi, non è tramontato ancora, e non tramonterà mai. La Pentecoste è lo Spirito che continua a raggiungerci per aggiungere bellezza, quella che non abbiamo ancora contemplato, quella che risplende nell’incontro con altro e con altri. E’ la verità che non dobbiamo solo consegnare, è la verità che dobbiamo ospitare nella molteplicità, nella diversità che ci viene incontro e abita la Gerusalemme di oggi.
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