II domenica TOA – 15 gennaio 2023 – Giovanni 1,29-34
“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. Il peccato del mondo. Cosa potrebbe essere, il peccato del mondo? Forse la colpa da cui non è esente nessuno, il peccato di cui tutti ci siamo macchiati, di cui siamo tutti responsabili, quello che ci accomuna, ci apparenta tutti. In cosa siamo uguali e in cosa siamo complici? Sento di tornare a ribadire cose dette già mille volte. Abitiamo il mondo contrapponendoci, contendendoci il primato e lo stile che governa il quotidiano di ciascuno è di fatto il motore che ispira l’azione di ogni altra struttura che abbiamo tenuto a battesimo: sistemi politici, economico/finanziari, religiosi, culturali… Un’unica legge governa ciascuno e tutti nel relazionarci ma, proteggendoci, mai esponendoci, difendendoci, mai disarmandoci, garantendoci, mai rischiando oltre il ragionevole. Che Giovanni, puntando il dito su Gesù, lo indichi come l’agnello, è come lo denunciasse agli occhi del mondo, lo smascherasse, lo mettesse a nudo al nostro sguardo. L’agnello, lo sappiamo, è l’animale sacrificale per eccellenza. È certo anche il cucciolo che intenerisce, che smuove le durezze, che ammorbidisce le asprezze, chi non si scioglie davanti ad un agnellino? Ma è anche l’animale mansueto che lascia fare, che non oppone resistenza, disarmato, che non reagisce, che non si difende. E se fosse paradossalmente questa la colpa? Stare al mondo contestando lo stile del mondo? Gesù è di certo l’alternativa, costosa ma possibile, che offre il suo contributo di eccentricità necessaria, vitale contro il consueto, il solito, il rodato meccanismo che manovra il mondo. E se appunto non fosse un merito ma diventasse una colpa da punire? L’agnello è l’animale che simboleggia l’inconsueta e scomoda alternativa evangelica. L’agnello è di fatto il capro espiatorio che nel giorno di Yom Kippur, dell’espiazione per l’appunto, è spedito nel deserto carico dei mali di tutti, del peccato del mondo, perché fiorisca finalmente un’umanità diversa, nuova, alternativa, perché liberata. Servono ancora e sempre agnelli disposti a togliere dal mondo il suo peccato, spedendolo lontano, facendo gli agnelli disposti a sacrificare prepotenza, cupidigia, arrivismo. Anche la colomba che plana sul Cristo è per un verso l’animale dell’offerta e per l’altro l’animale che annuncia inizi nuovi, ripartenze sotto altro segno, possibili alternative. Pensiamo alla fine del diluvio raccontato in Genesi, la colomba esce per poter annunciare ripartenze. Ma anche la vicenda di Giona, il cui nome significa, guarda un po’, colomba, cosa può raccontare se non, pur faticose, improbabili, ripartenze, per la gente che abita la grande città a cui è stato inviato, Ninive… e per se stesso, uomo senza sbavature che pretende di insegnare perfino a Dio il suo mestiere ma in verità deve ancora imparare a fare l’uomo e quindi da uomo, fallibile, accettare l’umiltà delle ripartenze, che tra l’altro Dio mai ci nega… da agnelli non più da lupi, da colombe non più da rapaci con gli artigli.
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