Omelie Triduo Pasquale 2024

Pubblicato da emme il

Giovedì Santo – 28 marzo 2024

Forse qualcuno sa che mi piace il cinema, e molto. Giorni fa pensando al Triduo e a ciò su cui avrei potuto sostare con voi mi sono venuti in mente tre film visti di recente, uno per ciascuno di questi tre giorni santi: La società della neve, La zona d’interesse e Perfect days. La società della neve lo si trova già sulle piattaforme. È un film del 2023 di Juan Antonio Bayona sul disastro aereo avvenuto sulle Ande nel 1972. 45 i passeggeri, 16 i sopravvissuti che furono ritrovati dopo 72 giorni passati in uno dei posti più inaccessibili e inospitali della terra, a 3500 metri sopra il livello del mare. È un film decisamente spirituale. Già il titolo (La società della neve) fa pensare al fatto che pur in situazioni estreme, là dove gli uomini possono diventare bestie, si andò invece a configurare un gruppo fortemente solidale, al cui interno circolarono le migliori energie di ciascuno con il risultato di andare ad alimentare il benessere del gruppo. Il giovedì santo è il giorno in cui si parla di comunità, di servizio reciproco, di dono di sé agli altri. Vedere quel film mi ha regalato emozioni forti anche rispetto alla possibilità di pensare che l’uomo può essere capace, nel dramma, nella fatica, di sfoderare davvero il meglio di sé. C’è un dialogo che reputo il più intenso, circa a metà film, fra Arturo e Numa. Arturo è pesantemente ferito e non sopravviverà. “La mia fede – dice Arturo a Numa – non è nel tuo Dio. Numa, questo è il mio cielo (indicando l’interno della carcassa dell’aereo precipitato) e io credo in un altro Dio. Credo nel Dio che Roberto ha nella testa quando viene a curarmi le ferite e in quello che ha Nando nelle gambe per riuscire a camminare senza condizioni (Nando e Roberto saranno i due folli che andranno a cercare aiuto avventurandosi nei ghiacciai). Credo nella mano di Daniel quando taglia la carne e quando la divide senza dirci a quale amico apparteneva e così possiamo mangiarla senza doverci ricordare il suo sguardo.  Credo in questi diversi Dio. Credo in Roberto, in Nando, in Daniel, in Fido e nei nostri amici morti”. Anche Numa morirà l’11 dicembre e stretto fra le sue mani troveranno un bigliettino accartocciato sul quale aveva scritto di suo pugno una frase del vangelo di Giovanni: “No hay amor mas grande que el que da la vida par sus amigos”. Serve tradurla? Non credo. Quel bigliettino, nel film, passa di mano in mano senza che alcuno proferisca parola, è come passasse il pane dell’eucarestia fra quelle mani come è passata la carne degli amici morti di cui si sono nutriti per sopravvivere. Il film racconta tutto il travaglio per arrivare a decidere di cibarsi dei corpi degli amici. In tanti diedero il permesso perché una volta morti gli altri potessero cibarsi della loro carne. È macabro? È ciò a cui ha acconsentito Gesù che non ha scelto di morire ma dentro ciò che non ha scelto ha scelto di amare perché quell’amore fosse vita, fosse possibilità, fosse futuro.

Venerdì Santo – 29 marzo 2024

Ieri sera a San Giuseppe ho detto che pensando al Triduo pasquale mi sono venuti in mente tre film, uno per ciascuno di questi tre giorni santi. Per le riflessioni sul giovedì santo ho tratto ispirazione dal film La società della neve, un film sul disastro aereo avvenuto sulle Ande nell’ormai lontano 1972. Stasera vorrei entrare in quel che celebriamo attraverso un’altra opera cinematografica, La zona d’interesse che ha appena vinto l’Oscar nella categoria Miglior film internazionale. È una pellicola del britannico Jonathan Glazer. Racconta della vita che il direttore del campo di concentramento di Aushwitz, Rudolf Hoss, conduce serenamente insieme alla famiglia in una villetta che confina proprio con le mura del campo, un posto in cui trovarono la morte 1 milione e 100 mila persone. La cosa sconvolgente è che tutto in quella casa avviene come se dietro quel muro non succedesse proprio nulla. Il regista non mostra mai cosa avviene nel campo, il film ce lo dice con i suoni, ha vinto appunto anche l’Oscar per il miglior sonoro, il latrare dei cani, lo sferragliare dei treni in arrivo, gli spari, le grida, e il rumore continuo e cupo prodotto dai forni crematori in azione. L’unica cosa che si vede è il fumo che rende tra l’altro irrespirabile l’aria e il rosseggiare del cielo per il fuoco che lo incendia. Di qua una casa dove tutto scorre troppo normalmente (almeno apparentemente), dove si coltivano i fiori, dove in giardino, a bordo piscina, si intrattengono gli ospiti, dove ci si assicura che tutto sia perfetto, dove pasteggiare con gusto e brindare allegramente. Un angolo di paradiso dove diventa tutto normale anche mettere in armadio la pelliccia di un’ebrea dopo il viaggio che l’ha portata ad Aushwitz, o spartire il bottino di elegante biancheria con la servitù della casa, o per i più piccoli giocare con i denti d’oro degli ebrei a cui sono stati tolti prima di essere condotti al macello. Cose che non si vedono ma si sanno. Tremendo è il passaggio del film in cui con una commissione appositamente radunatasi il direttore Hoss presenta il progetto per far funzionare a ciclo continuo i forni crematori in modo tale che possano continuare a produrre morte a ciclo continuo. Glazer, il regista, alla cerimonia degli Oscar ha naturalmente preso la parola: “Tutte le nostre scelte – ha detto – sono state fatte per riflettere e confrontarci con il presente, non per dire ‘Guardate cosa hanno fatto allora’, piuttosto ‘Cosa stiamo facendo adesso’”. Ascoltiamo la Passione, secondo il racconto di Giovanni. Nella croce la gloria, Giovanni insiste su questa prospettiva, ma il dolore, la sofferenza, l’ingiustizia, quando siano noi a provocarli o anche solo ad ignorarli, quando l’esserne gli autori o gli spettatori, non ci tocca? Ascoltiamo i rumori della Passione di Gesù, cerchiamo di sentirli ma mano che si legge, e affiniamo così l’orecchio per diventare capaci di sentire i rumori della passione di tanti e tante che sono semplicemente oltre il muro della nostra diabolica insensibilità.

Domenica 31 marzo 2024 – Pasqua di Risurrezione B – Marco 16,1-7

Qualcuno sa, chi mi ha sentito giovedì e venerdì, che ho scelto tre film per parlare di quanto stiamo celebrando. La società della neve giovedì, La zona d’interesse, venerdì, per Pasqua, Perfect days. Un film che ho visto, se non ricordo male, già un paio di mesi fa. Un film che mi ha folgorato. È piaciuto a tanti. È una pellicola firmata Wim Wenders. È stato candidato agli Oscar nella categoria Miglior film internazionale e il protagonista, Koji Yakusho, ha vinto a Cannes il premio come miglior attore. È un film tedesco-giapponese. Racconta di Hirayama, un uomo di una sessantina d’anni che attende alle cose della sua piccola vita con regolarità nipponica, con precisione teutonica. È reso evidente dall’ordine quasi maniacale che regna nella casa, dalle piante innaffiate con fedeltà, dai denti lavati come da protocollo, dai ritmi e dai riti feriali e festivi, dalla musica ascoltata rigorosamente attraverso le audiocassette, dai libri usati che compra sempre nello stesso negozio, dalle fotografie che scatta e sviluppa e che ritraggono sempre lo stesso soggetto. Tutto è molto fisso, ma non ipnotico, per niente noioso. Non ho detto del lavoro che fa: pulisce i bagni pubblici di un quartiere di Tokyo, ma come se dovesse mangiarci dentro, con una cura che non riserviamo neppure alla cosa che ci è più cara. Pulisce le parti che non si vedono, raggiunge gli angoli che sono normalmente trascurati. Nello scorrere del film tanta umanità si infiltra e rompe questo incantesimo, ma Hirayama non sembra esserne infastidito… il giovane collega squinternato con cui lavora, la ragazza di lui, strana pure lei, la donna che incrocia più volte al parco, la nipote che una sera piomba improvvisamente a casa sua, il monaco con cui scambia solo sguardi d’intesa. Perché ve ne parlo a Pasqua? Pasqua, come nel film, è vita curata, non trascurata, è vita non distratta, non grossolana, ma attenta al particolare, all’inezia, è vita non blindata ma aperta all’incursione dell’altro. Ad un certo punto nel film compare la figura della sorella che è venuta a riprendersi la figlia (la nipote di Hirayama), forse affascinata dalla vita che conduce lo zio. L’incontro imbarazzato, freddo, rapido con la sorella fa pensare ad un passato problematico dal quale si è come affrancato, dal quale ha preferito prendere radicalmente le distanze, non sappiamo esattamente da cosa, qualcuno ha detto, forse da responsabilità troppo grandi? Ma occuparsi del trascurabile è forse meno dignitoso? E se avesse preso le distanze da ciò che non era più vita? Pasqua è trovare il coraggio di celebrare questi passaggi. Vi parlavo delle fotografie di cui il protagonista va a caccia nei momenti di pausa dal lavoro, è sempre lo stesso soggetto che cattura e cioè la luce che filtra smorzata, delicata, non violenta tra le chiome degli alberi. Komorebi è la parola giapponese per definire questa luce. È la luce che basta a rendere accettabile la vita, è la luce che possiamo sopportare, è la luce sufficiente a far fiorire l’esistenza. È la luce che cerchiamo anche oggi all’ombra dell’annuncio di Pasqua: è risorto. Cerco questa luce per sentirmi risorto anch’io.


0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *