Tutti i Santi – 1 novembre 2022 – Matteo 5,1-12

Pubblicato da emme il

La santità c’entra con la vita, ha a che fare col radicarsi in essa. Non c’è niente di più fuorviante che la santità abbia a che fare col non sporcarsi con la vita. Il battezzato è rivestito di una veste bianca. La indossa dopo l’immersine nell’acqua e l’unzione con il crisma. In certe stagioni, anche non lontane dalla nostra, si è pensato fosse il segno di una vita immacolata, non sfiorata dal peccato, non contagiata dal male. Ma se le veste deve a tutti i costi restare candida il rischio che si corre è quello ancor più pericoloso di non vivere per il timore che la vita stessa nel suo fluire, nel suo scorrere, sia sfregiata. Ma che me ne faccio di una vita così, come posso non correre il rischio di vivere per salvaguardare la mia perfezione. Sarebbe la più grande aberrazione. Saranno perdonati i peccati e le malefatte di coloro che hanno rischiato vivendo piuttosto che premiati coloro che per non correre il rischio di vivere sono rimasti con le braccia conserte e hanno lasciato che lo sporco affare del vivere fosse preoccupazione di qualcun altro. La veste candida del battesimo, la stessa di cui leggiamo in Apocalisse, è la veste dei figli, di coloro che non si sono sottratti al rischio di vivere e, come ancora leggiamo in Apocalisse, tengono in mano i rami di palma, i segni della vittoria, di coloro che hanno vissuto il più intensamente possibile. È la veste con cui Dio, in Genesi, ricopre la nudità di Adamo e di Eva, appena affacciatisi alla vita e già in affanno, già in crisi. È la veste con cui il padre in Luca 15 ricopre il figlio, quello più piccolo dei due, dopo essere rientrato dal fallimento, dopo aver sperimentato sul campo il faticoso e frustante mestiere di vivere. È la veste che sotto la croce i soldati tirano a sorte per accaparrarsela. Gesù è colui che la vita se l’è giocata alla grande, non l’ha certo risparmiata, non l’ha conservata, non l’ha tenuta sottovuoto. Sulla croce muore nudo per riconsegnarci la dignità filiale significata da quella veste logora a forza di vita spartita. La pagina di vangelo, che torna uguale ogni anno in questa solennità, che ci dice, se non che la santità è frutto anche dei nostri limiti, delle nostre ferite, di tutto ciò di cui è fatta la vita, non solo di qualità umane e spirituali. La santità evangelica (scrive fr. MichaelDavide Semeraro) non è perfezione morale che riguarderebbe un’élite di privilegiati, ma è l’esperienza di quella grazia di filiazione da cui tutto può sempre ripartire verso la luce. Meglio essere in cammino e un po’ sporchi, claudicanti, feriti e talora stufi piuttosto che fermi e immobili su noi stessi. La santità del vangelo sporca le mani e sporca, prima di tutto, i piedi con cui siamo chiamati a fare i passi necessari non solo per sopravvivere ma, prima di tutto, per incontrarci e incoraggiarci a vicenda.


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