Venerdì santo – 2 aprile 2021
Quanto è difficile abitare il proprio dolore. Ed è ancora più arduo abitare il dolore degli altri. Ho chiesto ad un’amica che sta dentro da troppo tempo al dramma del disagio psichico se potesse dirmi che cosa potrebbe essere, per lei, Pasqua pur dentro ad un Venerdì santo che sembra non avere sponde, margini e argini. Mi ha scritto delle cose sorprendenti: “Pasqua? Riuscire ad abitare le mie tenebre. Riuscire ad abitare il buio senza per questo sentirmi autorizzata a ferire e far del male a chi mi vuol bene… Una Pasqua che non mi tolga le tenebre, le paure ma che mi aiuti ad abitarle con la speranza che forse, si possono attenuare, che è possibile che in esse filtri un po’ di luce”. Sorprendente davvero, spiazzante. È probabile che anche Gesù sia riuscito a stare dentro il suo Venerdì santo come questa donna di cui vi ho raccontato, lui che come scrive l’autore della lettera agli Ebrei “è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”. Ciò che più mi atterrisce è trovarmi nella situazione di inerme spettatore di fronte al dolore degli altri, tanto da scegliere a tratti di difendermene tanto sono consapevole della mia impotenza. “Cristo offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime…” continua l’autore di Ebrei. Il patire che si fa passione e così salvezza, cioè soluzione, per usare un termine meno teologico, quindi c’è di peggio del non saper risolvere i propri drammi e i drammi degli altri: restare apatici, indifferenti, non sapersi emozionare, non riuscire a vibrare, non commuoversi. Pasqua? continua la mia amica: “emozionarmi e commuovermi”. Chi patisce forse diventa rabbioso, irascibile, o magari diventa empatico. Abitare con patos la vita. La croce è l’esito di un’empatia senza risparmio, di un’intesa, di un’identificazione che corre fino in fondo il rischio dell’altro per ammansire il dolore, per addomesticarlo. La partecipazione è cura, è salvezza. Me l’ha raccontato un’altra amica di San Giuseppe dopo una lunga apnea in un buio totale, immersa nel pantano di una malattia i cui contorni ancora sfuggono. Ebbene, lì dentro solo la solidarietà pur lontana e filtrata di alcune care persone è stata salvagente a cui attaccarsi per non affondare, è stata il ramo a cui avvinghiarsi per non essere portati alla deriva. Gesù muore per essersi compromesso con la storia di tanti, e se dicessimo che Gesù risorge per lo stesso motivo? Morti davvero e per sempre se l’indifferenza si impadronisce di noi. Vivi e magari per sempre se il cuore riesce a vibrare per qualcuno. Mi è stato ricordato recentemente, me l’ero dimenticato, che un albero vive meglio se non resta isolato, se può connettersi con altri alberi. Una foresta è molto di più di quanto non si veda. Sotto esiste un altro mondo. Un universo fatto di sentieri e strade biologiche infinite, che collegano gli alberi, li fanno comunicare tra loro e li spingono a comportarsi come se fossero un unico organismo. Anche noi un unico organismo o isolati avventurieri che non elemosinano compassione e non si sognano di averne per altri? Sulla croce fiorisce un’altra umanità!
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