Domenica 16 febbraio 2020 – 6° TOA – Matteo 5,17-37

Pubblicato da emme il

Sto con voi davanti a questo pezzo di discorso della montagna che occupa alcuni capitoli del vangelo di Matteo e fatico a trovarvi un percorso. Fra tanto, mi cattura l’invito ad essere capace di una giustizia superiore, come non bastasse essere semplicemente giusti. Cos’è più giusto? Tentare di andare oltre la misura, superare gli argini della legge, non per trasgredirla ma per compierla. Di Giuseppe il vangelo dice fosse un uomo giusto. Ma anche lui sembra chiamato ad una giustizia superiore. Se fosse stato semplicemente giusto Maria sarebbe morta sotto una pioggia di sassi per aver tradito una promessa, era incinta di qualcun altro, Giuseppe non l’aveva ancora toccata. Essere più giusti significa individuare, non certo degli stratagemmi per aggirare la legge, nel caso di Giuseppe licenziare in segreto Maria anziché ripudiarla pubblicamente, ma decidere di poggiare i piedi su quella che sembra una superficie instabile, scivolosa, franosa e scommettere che possa diventare il più solido e sicuro approdo di una vita. Rischiare dentro le relazioni è l’avventura più difficile, la più incerta, la più destabilizzante. A nessuno piace essere in balia dell’altro, dei suoi umori, dei suoi capricci, dei suoi fantasmi, delle sue paturnie, dei suoi limiti. Ma mi sembra che Gesù ci domandi di rischiare lì, e di fare verità sull’altare del quotidiano relazionale prima ancora che sull’altare rituale dove posso illudermi che sistemare le cose con Dio possa averle sistemate anche sul fronte dell’umano. Mi sembra che Gesù ci domandi di ricercare quella giustizia che non si fa in tribunale ma dentro i cammini che riavvicinano, nei passi che ti rimettono in sintonia con la storia dell’altro, che possono aiutarti ad entrare in sintonia col suo mondo. E allora non basterà non uccidere, eviterò perfino di adirarmi. Anzi, imparerò a stimarti, a riconoscere il tuo buono. Allora non basterà astenersi dal dirti pazzo, eviterò di dirti perfino stupido. Anzi imparerò ad elogiarti, a intravedere il prezioso di te. È quanto afferma Gesù quando in apertura al brano di oggi spera che neppure ciò che è minimo venga scartato. Proprio perché le cose piccole contano tanto quanto, se non più, di quelle grandi e questo nel bene come nel male. Se basta poco per farti precipitare, basta poco anche per farti decollare, per rilanciare una vita, per rimetterla in moto. Cosa scegliere per vivere e far vivere? Il bene o il male? La risposta la conosciamo, ma essere più giusti, che significa avere a cuore non solo il mio bene ma anche il tuo, a volte più il tuo del mio, è strada in salita, tanto impervia, decisamente faticosa. Accetto di vivere scandalosamente avvinghiato alla difesa di me, cosa c’è di più scandaloso, e non sono disposto a perdere non tanto l’occhio ma lo sguardo che non vede il tuo buono. Non sono disposto a separarmi, non tanto dalla mia mano, quanto dai gesti che ti trasformano in oggetto e non valorizzano la tua presenza. Cavare e tagliare, macabre operazioni chirurgiche o necessarie potature del cuore per rendere rigogliosa un’altra giustizia?