Domenica 9 febbraio 2020 – 5^ TOA – Matteo 5,13-16

Pubblicato da emme il

Voi siete la luce del mondo che non può restare nascosta, come una città sul monte, come una lampada che non puoi che mettere sul candelabro. Non vorrei imbarcarmi fin da subito in un discorso moralistico ma non possiamo non essere chiari circa il fatto che la luce in noi sorge come l’aurora e brilla in noi come in pieno pomeriggio se la nostra è vita plasmata da gesti chiari di condivisione, di ospitalità, di solidarietà. Parole che puzzano di comunismo potrebbe dire qualcuno, e se invece profumassero di vangelo? Nel leggere Isaia ci sembra di mettere gli occhi sulla pagina del vangelo di Matteo (siamo al capitolo 25) dove in modo lapidario si dice che c’è salvezza là dove chi ha fame mangia, chi ha sete beve, chi è nudo si veste, chi è straniero trova terra e casa, chi è malato è curato, chi è in carcere non è lasciato solo. Essere protagonisti del riscatto dei fratelli che sono nell’indigenza fa brillare la vita, fa sorgere la luce. Nient’altro se non questo. E il sapore all’esistenza lo offre quell’apertura del cuore che non abbandona nessuno al suo triste destino ma l’assume con responsabilità perché la vita piena dell’altro è obiettivo che non posso non perseguire. La diagnosi che fanno a tanti è: affetto da narcisismo egoista. È proprio il fatto che non ci sia nessuno di cui curarsi, oltre se stessi naturalmente, che finisce per svuotare di sapore la vita, che la rende insipida, che l’ammala. Ah! La buona notizia sarebbe questa? Che devo occuparmi della vita degli sfigati? Non basta sudare per la propria? Bastarsi! Basto io! Che triste prospettiva. È vero, l’altro mi scomoda, mi infastidisce, mi irrita, mi fa arrabbiare. E allora? Lo elimino? La luce spunta soltanto nell’incontro, nell’essere con te, nell’esserci per te. Diversamente dilagano le tenebre, si inspessiscono le ombre, si infittiscono le nebbie. Nessuna garanzia di vita comoda, felice sì pero! Paolo che scrive ai Corinzi ricorda che la luce posta sul candelabro è Cristo stesso, ma crocifisso. L’aver così dilatato la vita perché comprendesse la vita di tutti ne ha fatto il più luminoso dei fari. Sulle vette dei nostri monti sono infisse infinite croci. Non sono il segno dell’orgoglio cattolico, sono piuttosto il segno che la luce abita il mondo quando le braccia si allargano, si tendono e non restano conserte e chiuse in quell’abbraccio mortifero che coccola se stessi. Il vangelo di Gesù ci renda protagonisti coraggiosi di altruismo. Nel foglio parrocchiale di questa domenica trovate pubblicizzata un’iniziativa che terremo qui sul sagrato della nostra chiesa, ma aperta alla comunità senza etichette. Il 28 febbraio sarà l’occasione per tornare a riflettere sulla condizione di uomini e popoli in fuga che non incontrano accoglienza. Anche qui, discorsi di una sinistra clericale, o vangelo che domanda di essere preso sul serio?