MERCOLEDÌ DELLE CENERI 26 febbraio 2020

Pubblicato da emme il

MESSAGGIO PER I FEDELI DELL’U.P. DA PARTE DI

DON STEFANO, DON VITTORIO, DON ADRIANO

MERCOLEDÌ DELLE CENERI

26 febbraio 2020

Giovanni 3,1-21

1 C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. 2 Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 3 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7 Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». 9 Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». 10 Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? 11 In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12 Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13 Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Isaia (21,11)

11 Oracolo sull’Idumea.
Mi gridano da Seir:
«Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?».
12 La sentinella risponde:
«Viene il mattino, poi anche la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!». 

(don Vittorio)

C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio…». Nel buio della notte Nicodemo va da Gesù, portando con sé quello che tutti sanno «sappiamo che sei un maestro venuto da Dio». Eppure, quella conoscenza condivisa non sembra essere sufficiente da rischiarare la notte nella quale Nicodemo si trova immerso. «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio». Rinascere quale condizione per vedere quello che occhi abituati a indagare il sapere, non sanno vedere. In questi giorni siamo stati improvvisamente catapultati in una situazione surreale, dai contorni fantasiosi tipici della narrazione letteraria fantascientifica. Per quanto lontani dal nostro immaginario potessero essere simili scenari, sono diventati reali. Se l’obbligo di ottemperate ad alcune misure cautelative può portare ad ingiustificate, pur comprensibili paure, come credenti che non possono, per ovvie ragioni, celebrare comunitariamente l’inizio della Quaresima, disorienta. Una situazione di grande smarrimento, analoga a quanto il popolo di Israele ha vissuto di fronte allo scenario del Tempio più volte distrutto. Distrutto il tempio, cancellato il sacrificio, scomparso il sacerdozio cultuale, Israele ha riqualificato luoghi e spazi diversi rispetto alla tradizione del Tempio per vivere la fede e risignificare la vita. Il tempo dell’esilio, conseguenza della sconfitta, ha fatto maturare intere narrazioni del filone profetico, in cui il popolo ridotto a un cumulo di ossa inaridite, ha ricominciato a rivivere (Ez.37). Forse questo è un tempo analogo, in cui dobbiamo trovare la capacità di vedere ciò che ci è dato proprio grazie ad uno sguardo possibile a motivo di quel rinascere dall’alto di cui parla Gesù. «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio».  E qui non si tratta di una visione frutto del vaneggiare, ma di quella capacità di sostare sempre e ancora nella Parola che ha tutta la forza di far intravvedere una luce, là dove ci sembra di essere immersi completamente nelle tenebre. «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella quanto resta della notte?». (Isaia 21,11). Alla duplice richiesta rivolta a chi veglia come sentinella, quasi a sottolineare come questa domanda non si esaurisca in una sola battuta, la risposta della sentinella appare quanto mai ovvia: «Viene il mattino, poi anche la notte…». E chi non lo sa questo! Eppure, all’ovvietà di questa risposta che sembra non far altro che riproporre ciò che già tutti noi sappiamo, fa eco la necessità di non esaurire il tutto in questo sapere comune, ma nell’andare oltre, nel cercare senza mai stancarsi, nell’interrogare ciò che il sapere non riesce a dire. «Se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!» (Isai 21,12). In questo ripetuto interrogare, quasi inesauribile di fronte a ciò che già si sa, un indagare che non è disgiunto da una volontà «se volete», sta racchiuso quel possibile rinascere che è frutto di una conversione, ossia di un ritornare a ciò che sta all’origine, a ciò che in principio la Parola di Dio ha originato: «Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu» (Gen 1,3). Nell’atto di quella Parola pronunciata detta da DIo, la luce irrompe nelle tenebre di un universo ancora increato. Questo è il “Principio” che non si esaurisce mai in un atto unico, ma che si ripete nel tempo e nella storia attraverso quella Parola che custodisce la nostra esistenza e dalla quale la vita è continuamente rigenerata. La forza di una Parola che va cercata ripetutamente, «domandate, domandate…» e che sprigiona la forza di una nascita che non si esaurisce, perché può sempre iniziare, come per Nicodemo che va da Gesù di notte, portando il suo sapere, che si trasforma poi in ripetute domande rivolte a Gesù. Nel buio della notte che nella narrazione biblica si rincorre lungo tutta la storia che va dalla Genesi – la notte della creazione – ripercorre l’Esodo – la notte dell’uscita del popolo dall’Egitto – e, passando poi anche attraverso le esperienze personali dei diversi personaggi della Scrittura –   giunge fino a Gesù nella notte del Getsemani e nell’ora buia della croce –, si profila il sorgere di una possibile speranza. Proprio nell’immagine della sentinella che veglia nella notte e intravvede le luci dell’alba, la virtù della speranza appare come una “virtù notturna”. “Sussiste una connessione molto stretta tra la categoria della notte e la virtù teologale della speranza. La speranza è una «virtù notturna», esercizio di attesa che coinvolge Dio e l’uomo attraverso una profonda ricerca di amore. L’intero cammino umano è avvolto nella dialettica tra luce e notte e insieme segnato dalla speranza, come avvenne nell’incontro di Nicodemo con Gesù (cf. Gv 3,1-21). Questo radicale atteggiamento ci colloca in una zona così rarefatta, così vertiginosamente in alto da farci vivere di speranza, con stupore e meraviglia. È sorella speranza – come scrisse C. Peguy – la più piccola di tutte le virtù, che ci fa andare in questa notte santa. Notte e speranza quasi si confondono, s’identificano e diventano compagne della nostra fatica di vivere e di amare».[1]

Allora, in questo tempo in cui potremo sentirci smarriti in forza del fatto che quest’anno non ci è dato di celebrare L’inizio della Quaresima con il Rito delle Ceneri, vivere questo tempo in modo diverso da come eravamo stati da sempre abituati, diventi in noi opportunità per quel rinascere dall’alto e vedere con occhi diversi che scrutano in profondità quella “virtù notturna” che è la speranza alla quale siamo chiamati. Questo può anche voler dire volgere lo sguardo a quanto accade come occasione conveniente per risignificare e riqualificare la vita. Guardare quindi con la possibilità di essere “liberati” da tante occupazioni che soffocano i luoghi del nostro vivere, per risignificarlo. Una qualità di vita non retta da legami strettamente economici che occupano in maniera totalizzante il nostro vivere. “Liberati” da tali occupazioni per una prospettiva di nascita nuova: Sicuramente ci rimangono le preoccupazioni che nascono dalla paura di quanto sta accadendo. Ma in questa circostanza dovremmo far breccia a una possibile speranza che sta all’orizzonte di ogni Quaresima: la Pasqua di risurrezione. Allora impariamo con coraggio ad abitare questo tempo e ad assumerlo non nella paura per ciò che sta avvenendo, ma come opportunità per riqualificare la nostra vita e di risignificarla, sentendoci sostenuti dalla presenza del Risorto che ci ripete: «Coraggio, sono io – non abbiate paura» (Mt 14,27).

Buon cammino di Quaresima verso la Pasqua. 

Salmo 71 (70)

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.

Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!

Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno:
a te la mia lode senza fine.

O Dio, da me non stare lontano:
Dio mio, vieni presto in mio aiuto.
Io continuo a sperare;
moltiplicherò le tue lodi.

(don Stefano)

Qualcuno ci ha chiesto di raggiungere le comunità con un messaggio.

Raccogliamo volentieri questo invito che ci fa vicini in un tempo di forzata lontananza, di necessario isolamento.

La comunione ha certo altre strade per rendersi reale.

Il digiuno da quegli incontri, liturgici, formativi, ricreativi, che ci sono abituali e che segnano con un ritmo, a tratti faticoso, ma sempre benefico, il nostro tempo, può alimentare il desiderio che diventino più veri quando ci rincontreremo.

Astenerci, pur forzatamente da una certa routine, ci metta nel cuore la nostalgia di una comunione che va anche purificata.

Sono giorni strani, per certi versi da reinventare. Ma i segni e le provocazioni non mancano. Proprio in questi giorni di chiusura, di riflusso nel privato, a noi preti è stato chiesto di aprire le braccia e la casa ad una persona temporaneamente senza dimora. Con che coraggio dire di no, un posto c’è! Recentemente ci ha provocati suor Rita Giaretta raccontandoci della sua avventura in quel di Caserta con la fondazione di Casa Ruth.

E dunque Quaresima, per noi, fin sulla soglia, è preoccuparci non solo di noi ma anche del bene di altri, proprio quando potevamo sentirci autorizzati a pensare finalmente un po’ di più a noi stessi, vista la tregua dagli impegni.

Sono giorni senza Eucarestia, abitiamo un lungo venerdì santo. Neppure noi la stiamo celebrando e non per pigrizia. Potremmo celebrarla privatamente, a porte chiuse ma perché non solidarizzare invece con tutti i laici che ne sono privati? Perchè consumare il pane dell’Eucarestia senza poterlo spartire? Il digiuno, anche sacramentale, può diventare solidarietà e pur simbolica vicinanza a chi digiuna su tanti fronti perché privato del pane della comunione, e non tanto quella che si celebra sugli altari delle nostre chiese quanto piuttosto quella che si fabbrica dentro un quotidiano, anche questo da celebrare ma come fosse la liturgia più vera, più alta.

Alimentiamo dunque l’attesa dell’incontro desiderando una comunione meno formale, più sostanziale e quindi forse più esigente. Teniamoci nel cuore tutti e riportiamo al cuore i volti e i nomi delle persone che non incrociamo. Quanto può essere vera la fraternità che si fa sacramento anche semplicemente spezzando il pane della memoria, in attesa…

Aggiungiamo questo testo che ci ha raggiunto tra i mille che affollano le nostre chat in questi giorni: DECALOGO CONTRO LA PAURA.
1. Le passioni, quelle intime e quelle civili, aumentano le difese immunitarie. Essere entusiasti per qualcuno o per qualcosa ci difende da molte malattie.
2. Leggere un libro piuttosto che andare al centro commerciale.
3. Fare l’amore piuttosto che andare in pizzeria.
4. Camminare in campagna o in paesi quasi vuoti.
5. Capire che noi siamo immersi nell’universo e che non potremmo vivere senza le piante mentre le piante resterebbero al mondo anche senza di noi. Stare un poco di tempo lontani dai luoghi affollati può essere un’occasione per ritrovare un rapporto con la natura, a partire da quella che è in noi.
6. Viaggiare nei dintorni. Il turismo è una peste molto più grande del coronavirus. È assurdo inquinare il pianeta coi voli aerei solo per il fatto che non sappiamo più stare fermi.
7. Sapere che la vita commerciale non è l’unica vita possibile, esiste anche la vita lirica. La crisi economica è grave, ma assai meno della crisi teologica: perdere un’azienda è meno grave che perdere il senso del sacro.
8. La vita è pericolosa, sarà sempre pericolosa, ognuno di noi può morire per un motivo qualsiasi nei prossimi dieci minuti, non esiste nessuna possibilità di non morire.
9. Lavarsi le mani molto spesso, informarsi ma senza esagerare. Sapere che abbiamo anche una brama di paura e subito si trova qualcuno che ce la vende. La nostra vocazione al consumo ora ci rende consumatori di paura. C’è il rischio che il panico diventi una forma di intrattenimento.
10. Stare zitti ogni tanto, guardare più che parlare. Sapere che la cura prima che dalla medicina viene dalla forma che diamo alla nostra vita. Per sfuggire alla dittatura dell’epoca e ai suoi mali bisogna essere attenti, rapidi e leggeri, esatti e plurali.


[1] Giuseppe De Virgilio, biblista.