Domenica 10 marzo 2024 – IV di Quaresima B – Giovanni 3,14-21
Leggo il vangelo di questa domenica e capisco che amare e credere sono come le due facce di un’unica medaglia. Credo all’amore. Dio dà il Figlio, e nel Figlio se stesso, leggiamo in Giovanni, ed è in questo darsi di Dio che ci si apre alla fede. Nicodemo che incontra Gesù, per la prima volta, di notte, quindi carico dei propri sospetti e di una certa dose di diffidenza, andrà con Giuseppe d’Arimatea a prenderle il corpo morto di Gesù per seppellirlo portando con sé trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Trenta chili, non vi pare esagerato? Quanto ne può bastare per ungere un corpo? Ma quei trenta chili sono la misura esagerata per rispondere ad un amore esagerato, l’amore in cui ha creduto e nel quale non smette di credere. Io credo a colui che mi vuol bene, a chi per me non si risparmia, a chi per me si consuma, a colui che non ha paura di toccare la mia impurità. Credo all’amore e credo in Dio che in Gesù ama tanto. Tanto, una parola che dice sì la misura ma anche la qualità. Nelle braccia di un bambino che si allargano per dirti il suo bene c’è il tanto della quantità ma c’è anche il tanto della qualità. Dio ha tanto amato il mondo, che significa smisuratamente, ma significa anche appassionatamente, intensamente. L’amare e quindi il credere e da qui la vita, anch’essa tanta, per questo eterna. Eterna cioè piena ma anche tracimante, trasbordante, eccedente. Poter credere all’amore significa poter vivere… ma così, pienamente! “Dio, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo…, ci ha fatto rivivere”, abbiamo letto nel passo di Efesini. Se è l’effetto che può fare anche il mio darmi, il nostro darsi, chi può esimersi? Se in virtù dell’amore che posso riversare qualcuno ritrova fiducia e questa fiducia diventa vita meno faticosa, beh… non è forse già tutto? e posso non esserci per favorire questo tutto? C’è un altro pensiero che domanda di crescere. Dio primariamente non condanna il mondo, Dio ama il mondo perché sia salvo. Quante volte condanniamo prima di aver speso un briciolo d’amore. Dio non lo fa. La condanna è quella che si infligge chi non si fida dell’amore e la condanna è meno vita, è vita meno piena. Perché amati siamo vivi, perché disposti a fidarci dell’amore, continua a dirci Paolo nella lettera agli Efesini. In questa settimana alcuni ragazzi delle medie hanno accolto la testimonianza di una mamma che ha una figlia con la sindrome di down. Ad un certo punto la figlia ha voluto capire se è stata amata fin da subito, nonostante la sua disabilità. Aveva bisogno di poter credere all’amore perché solo questo consente di vivere, anche l’esistenza meno facile, anche la vita più gravosa, anche l’avventura più ardua.
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