Domenica 11 febbraio 2024 – VI TOB – Marco 1,40-45

Pubblicato da emme il

Il diavolo… colui che separa, questo significa. Non Dio, Dio non separa, Dio non separa i puri dagli impuri, i giusti dai peccatori, gli osservanti dai trasgressori. Eppure ci siamo fatti un’idea diabolica di Dio, di uno che tira dentro o butta fuori. Mi pare che Gesù, icona del divino, offra appunto un’altra immagine di Dio, ben diversa. “Lo toccò”. Basta questo per dire chi è Dio. Ma noi abbiamo a tal punto introiettato l’idea di un Dio che ci vuole perfetti che non riusciamo ad accogliere il Dio di Gesù per il quale appunto non siamo eventualmente perfezione decaduta quanto piuttosto povertà in via di compimento. Forse è per questo che la gente che viene a messa spesso non si accosta alla comunione; se hai a che fare con un Dio che accoglie solo i perfetti non può esserci spazio per gli imperfetti. Le distanze, che teniamo anche noi da lui sono distanze che lui intende invece superare, l’abbiamo visto qui come in mille altri passi di vangelo: l’uomo dalla mano paralizzata che viene tirato in mezzo, la peccatrice di Giovanni 8, il cieco che non starà più ai bordi della strada ma in cammino verso la propria realizzazione. Ma di fatto siamo di sovente schiavi di questo sguardo impietoso su noi stessi e magari anche succubi dello sguardo altrettanto impietoso che immaginiamo possano posare gli altri su di noi. E allora: o prendiamo le distanze e stiamo tra i morti, come i lebbrosi e i malati del vangelo, o corriamo ai ripari ma più per sanare la facciata, più per mettere apposto le cose e non offrire più agli altri il pretesto per dirci che siamo sbagliati. Mamma mia, come siamo messi. E allora dentro le chiese, laddove dovremmo in serenità poterci stare tutti, ecco che c’è spazio per qualcuno ma non per tutti. Ecco che qualcuno finisce per non sentirsi a casa. “Se vuoi puoi purificarmi”, dice il lebbroso del vangelo, frase che potrebbe essere intesa almeno in due modi diversi: so che puoi, so che ne hai la forza; oppure: desidero guarire, ho deciso di guarire, te lo permetto… guariscimi! Ma non è forse vero che le guarigioni avvengono di fatto quando impariamo ad accettare un limite, una fatica, un dolore? Quando quello stesso limite non ci fa sentire sbagliati perché anche altri occhi lo accolgono, lo capiscono, non lo giudicano… C’è un ultimo prezioso passaggio su cui vorrei sostassimo per un attimo: quel “lo voglio” che Gesù pronuncia. Sembra del tutto simile ad una promessa di nozze. Lo voglio a tal punto da essere disposto a spartire la tua stessa sorte, a pagare lo stesso prezzo, a subire la stessa ignominia. Il fatto che Gesù non possa più entrare nelle città potrebbe esser sì per evitare gli esaltati ma se fosse perché anche lui diventa un reietto per aver toccato un impuro? Non morirà forse fuori dalla città, come i maledetti, come i già morti? 


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